Concessioni

Affidamenti spiagge attrezzate: la stagione parziale non basta, l’esperienza deve essere “piena”

Affidamento in concessione di stabilimenti balneari: necessaria l’esperienza triennale effettiva e completa Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia, con sentenza n. 1412/2025, ha annullato l’aggiudicazione della concessione della spiaggia libera attrezzata “Magaggiari” del Comune di Cinisi, accogliendo il ricorso proposto da una cooperativa partecipante alla gara. Il contesto della gara La procedura aveva ad oggetto l’affidamento in concessione, per le stagioni balneari 2025-2027, della gestione di una spiaggia libera attrezzata. Tra i requisiti di capacità tecnico-professionale richiesti dal bando era espressamente previsto, all’art. 7.5 lett. a), il possesso di una “pregressa esperienza diretta, almeno triennale anche non continuativa negli ultimi dieci anni, nella gestione di stabilimenti balneari”. L’aggiudicazione della procedura veniva contestata da uno dei partecipanti, sostenendo la carenza del possesso integrale di tale requisito da parte dell’aggiudicatario. L’interpretazione del TAR: non basta l’attività parziale Il Tribunale di Palermo ha ritenuto che l’esperienza richiesta doveva intendersi riferita a tre stagioni balneari “complete”, ovvero ciascuna comprensiva del periodo 1° maggio – 30 settembre, come previsto dalla normativa statale e regionale in materia di balneazione. Nel caso in esame, la società aggiudicataria aveva sottoscritto il proprio primo contratto di concessione solo il 9 giugno 2022, e non risultava in grado di dimostrare formalmente una presa di possesso anticipata. Di conseguenza, il TAR ha ritenuto che la stagione 2022 non potesse essere considerata “completa” ai fini del calcolo del triennio richiesto. Ad avviso dei giudici amministrativi, accettare gestioni parziali o frazionate avrebbe significato aprire la strada a interpretazioni arbitrarie, in contrasto il chiaro tenore letterale della lex specialis. Alla luce di tale difetto, il Tribunale ha dunque accolto le doglianze della società ricorrente, annullando il provvedimento di aggiudicazione e i relativi atti sottesi. Considerazioni operative Questa pronuncia conferma un principio fondamentale: nelle gare pubbliche, soprattutto quando la lex specialis richiede requisiti di esperienza pregressa, il rispetto rigoroso delle soglie temporali è imprescindibile. Non basta dimostrare genericamente una certa attività nel settore: è necessario provare, con atti formali e inequivoci, che l’esperienza richiesta sia stata effettivamente maturata secondo i parametri richiesti. Per le imprese interessate a partecipare a bandi per la gestione di servizi balneari o simili, è dunque essenziale verificare con attenzione il proprio curriculum operativo, evitando di confidare in interpretazioni “estensive” del bando che potrebbero portare all’esclusione dalla procedura o all’annullamento dell’aggiudicazione in proprio favore. 📩 Scrivici dal modulo contatti qui sotto, oppure chiamaci per una consulenza dedicata.

modifiche sostanziali gara ANAC

Modifiche sostanziali ai documenti di gara: l’ANAC impone la riapertura dei termini

Modifiche sostanziali alla documentazione di gara: è obbligatoria la riapertura dei termini Nel corso di una procedura di gara può accadere che la Stazione Appaltante apporti modifiche alla documentazione già pubblicata. Ma quando tali modifiche sono da considerarsi “sostanziali”? E soprattutto: è sempre necessario riaprire i termini per la presentazione delle offerte? L’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC), con il Parere di precontenzioso n. 221 del 28 maggio 2025, fornisce una risposta chiara ed estremamente rilevante per imprese e amministrazioni. Il caso esaminato da ANAC Il procedimento nasce da un’istanza presentata da un operatore economico, che aveva segnalato errori e incongruenze nella tabella delle lavorazioni inserita nel disciplinare di gara. In particolare, si contestava la discordanza tra gli importi indicati e le classifiche SOA richieste, tale da compromettere la corretta predisposizione dell’offerta. La Stazione Appaltante (il Comune di Terni) aveva provveduto a rettificare la tabella a pochi giorni dalla scadenza del termine per presentare le offerte, senza tuttavia riaprire i termini né ripubblicare la documentazione. Quando le modifiche sono “sostanziali” L’ANAC ha chiarito che le modifiche sono da considerarsi sostanziali quando incidono su elementi rilevanti ai fini della partecipazione alla procedura di gara. In particolare, si tratta di modifiche che: possono determinare un ampliamento (anche solo potenziale) della platea degli operatori interessati; influiscono su requisiti di partecipazione, classifiche SOA, importi o categorie delle lavorazioni; rendono necessaria una nuova valutazione dell’interesse a partecipare. In tali casi si applica il principio del contrarius actus, secondo cui le modifiche devono essere trattate con le stesse forme di pubblicità del bando originario. La conseguenza: obbligo di riapertura dei termini Secondo ANAC, la mancata riapertura dei termini a fronte di modifiche sostanziali lede il principio di par condicio tra gli operatori e può rendere illegittima l’intera procedura. Ma attenzione: come riconosciuto anche dalla giurisprudenza (cfr. Tar Veneto sent. 940/2018) la riapertura non si limita al mero slittamento del termine per la presentazione delle offerte. Essa comporta anche la riapertura automatica di tutti gli altri termini previsti dalla lex specialis, come ad esempio il termine per il sopralluogo obbligatorio o per l’invio della richiesta di chiarimenti. La portata precettiva del parere ANAC In considerazione di quanto sopra analizzato, conclude l’ANAC sottolineando la non conformità con la normativa vigente in materia di contrattualistica pubblica da parte della Stazione Appaltante avrebbe dovuto Ripubblicare integralmente gli atti di gara rettificati, con le stesse modalità utilizzate per il bando originario; Riaprire tutti i termini di partecipazione previsti dalla lex specialis; In caso contrario, agire in autotutela per evitare l’annullamento della procedura. Nel caso specifico, l’ANAC ha ritenuto non conforme l’operato della Stazione Appaltante, invitandola formalmente a riaprire i termini per la presentazione delle offerte. Conclusione: attenzione alla legittimità della procedura In sintesi, ogni modifica sostanziale alla documentazione di gara comporta l’obbligo per la Stazione Appaltante di riaprire i termini. L’eventuale omissione di questo passaggio può costituire un vizio grave, con conseguenze sull’intera gara. Le imprese che si trovano in situazioni simili possono impugnare gli atti o attivare strumenti di tutela come l’istanza di precontenzioso presso ANAC o formulare un’istanza di rettifica in autotutela degli atti di gara. Lo Studio Campofranco assiste imprese e operatori economici nella partecipazione alle gare pubbliche e nella gestione dei contenziosi con le Stazioni Appaltanti. 👉 Contattaci per un parere legale su una procedura di gara che ti riguarda.

Concessioni balneari e bando pubblico senza PUA: il TAR Lazio riforma una sua precedente pronuncia alla luce dei nuovi orientamenti del Consiglio di Stato

Concessioni balneari e bando pubblico senza PUA

Concessioni balneari e bando pubblico senza PUA: il TAR Lazio riforma una sua precedente pronuncia alla luce dei nuovi orientamenti del Consiglio di Stato   Il contesto giuridico delle concessioni sul litorale romano Negli ultimi anni, la gestione delle concessioni demaniali marittime ha rappresentato un nodo giuridico rilevante per le amministrazioni locali. Il caso riguardante il titolare di uno stabilimento balneare e Roma Capitale, oggetto della recente sentenza del TAR Lazio n. 7917/2025, si inserisce in tale contesto, offrendo spunti cruciali in tema di evidenza pubblica e pianificazione territoriale. Il nodo del Piano di Utilizzo degli Arenili (PUA) Al centro della controversia, la legittimità della procedura di gara indetta da Roma Capitale nel 2020 per l’assegnazione di concessioni balneari, tra cui il lotto n. 25 relativo allo stabilimento “La Spiaggia di Bettina”. L’affidamento era stato inizialmente annullato dal TAR con la sentenza n. 7832/2022 in ragione della mancanza presso il Municipio Roma X del Piano di Utilizzo degli, ritenuto presupposto indispensabile per l’avvio della gara. La svolta del Consiglio di Stato Il Consiglio di Stato con successiva sentenza n. 6699/2023, nel riformare un’altra sentenza del TAR Lazio di contenuto identico alla 7832/2022 (la n.7902/2022, afferente ad altro lotto del predetto bando di gara per l’assegnazione delle concessioni balneari) ha chiarito che l’art. 19, comma 3, del Regolamento Regionale n. 19/2016 consente, in casi eccezionali, ai Comuni di avviare procedure comparative per concessioni temporanee anche in assenza del PUA comunale, purché nel rispetto del PUA regionale. Tale lettura evita un blocco sine die dell’attività amministrativa e tutela i principi di concorrenza previsti dal diritto eurounitario, come sancito anche dall’Adunanza Plenaria (sentenze nn. 17 e 18/2021, analizzate diffusamente nel precedente articolo). Il pronunciamento del TAR Lazio Accogliendo l’opposizione di terzo promossa dal primo classificato, il TAR ha riformato la propria precedente sentenza, determinando dunque la reviviescenza dei provvedimenti annullati con la stessa, con i quali veniva disposto l’affidamento delle “concessioni demaniali marittime con finalità turistico ricreative site sul litorale del Municipio X di Roma Capitale in scadenza al 31.12.2020”. È stata invece dichiarata improcedibile la domanda di annullamento della determinazione dirigenziale di Roma Capitale rep. QC/1051/2024 del 30 aprile 2024 in quanto in quanto relativa ad una stagione balneare ormai conclusasi. Implicazioni per gli operatori economici Questa decisione riafferma il principio per cui, in mancanza del PUA comunale, è comunque possibile indire bandi pubblici, garantendo trasparenza e concorrenza. Gli operatori del settore devono monitorare attentamente i presupposti normativi e giurisprudenziali per partecipare efficacemente alle gare. Per ulteriori approfondimenti sui requisiti di partecipazione alle concessioni demaniali, visita la sezione Concessioni e Appalti Pubblici del nostro sito. Prenota ora una consulenza Se rappresenti uno stabilimento balneare o un ente locale e necessiti assistenza legale nella partecipazione ai bandi o nella gestione di concessioni demaniali, compila il form qui di seguito per prenotare una consulenza l’Avv. Massimiliano Campofranco.

Stop alle proroghe: Il TAR Liguria sollecita i Comuni alle gare pubbliche!

Stop alle proroghe: Il TAR Liguria sollecita i Comuni alle gare pubbliche!

Con la sentenza del TAR Liguria 183/2025 del 19/2/2025 i giudici amministrativi sono tornati ad analizzare ancora una volta la possibilità di disporre una proroga delle concessioni balneari in essere, ribadendo nuovamente l’illegittimità di un’eventuale estensione temporale disposta ex lege in via automatica e sottolineando come il termine delle attuali concessioni risulti pacificamente spirato al 31 dicembre 2023. Origine della vicenda e ricorso dei concessionari La vicenda in esame trae origine da un ricorso presentato da alcuni titolari di concessioni demaniali marittime insistenti nel Comune di Zoagli, che ritenevano illegittima la deliberazione della Giunta comunale con la quale veniva confermata la scadenza delle concessioni demaniali marittime in data 31 dicembre 2023 (così come stabilito dalle sentenze dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nn. 17 e 18 del 2021, recepite dall’art. 3 della legge n. 118/2022, analizzate diffusamente  nel mio precedente articolo), disponendo al contempo di dare corso alle procedure a evidenza pubblica per le nuove assegnazioni. I concessionari uscenti articolavano le proprie doglianze secondo tre motivi di ricorso: anzitutto veniva invocata la violazione della proroga delle concessioni demaniali marittime disposta ex lege sino al 31 dicembre 2024; in secondo luogo si lamentava l’assenza di un meccanismo indennitario per i concessionari uscenti; da ultimo si sosteneva come la procedura a evidenza pubblica sarebbe vietata in assenza dell’emananda normativa statale unitaria. Le motivazioni del TAR Liguria Il Tribunale Amministrativo genovese rigetta il ricorso con le seguenti motivazioni. Anzitutto ricostruisce brevemente il quadro normativo attuale evidenziando in particolare come “in forza delle sentenze dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nn. 17 e 18 del 2021, recepite dall’art. 3 della legge n. 118/2022, le concessioni demaniali marittime per attività turistico-ricreative, beneficiarie di plurime proroghe ex lege, hanno cessato i loro effetti in data 31 dicembre 2023, sicché le nuove assegnazioni devono avvenire mediante selezioni imparziali e trasparenti tra i potenziali candidati, ai sensi dell’art. 12 della direttiva 2006/123/CE (c.d. Bolkestein) e dell’art. 49 TFUE”. L’inapplicabilità delle proroghe Alla luce di ciò, per pacifica giurisprudenza, anche l’art. 12, comma 6-sexies, del d.l. n. 198/2022, conv. in l. n. 14/2023, che ha posticipato al 31 dicembre 2024 la scadenza delle concessioni, non può che ritenersi inapplicabile (rectius deve essere disapplicato da tutti gli organi amministrativi e giudiziali) per contrasto con la direttiva Bolkestein. Stessa sorte non può che investire l’art. 1, comma 1, lett. a), n. 1.1), del d.l. n. 131/2024, conv. in l. n. 166/2024, il quale ha differito al 30 settembre 2027 il termine finale di durata dei titoli concessori in essere, che dovrà dunque pacificamente essere disapplicato a sua volta. L’accordo tra Commissione Europea e Stato italiano I giudici amministrativi si soffermano poi sull’accordo noto alle cronache secondo cui la Commissione europea avrebbe concordato con lo Stato italiano una proroga delle concessioni balneari sino al settembre 2027. Orbene prendendo espressamente posizione sul punto, il TAR afferma come anche tale tipo di accordo non potrebbe in ogni caso risultare efficace e vincolante. E ciò “sia perché non risulta esistente un documento scritto racchiudente tale patto; sia in quanto, in ogni caso, un simile accordo non potrebbe prevalere sul dictum della Corte di Giustizia in ordine all’incompatibilità unionale del rinnovo automatico delle concessioni demaniali per finalità turistico-ricreative essendo la Curia europea l’organo deputato all’interpretazione autentica del diritto eurounitario, con effetti vincolanti sia nei confronti delle autorità nazionali che delle altre istituzioni dell’Unione”. L’obbligo di procedere con le gare pubbliche Quanto all’asserito divieto di procedere con l’indizione di procedure di gara in assenza di una disciplina unitaria a livello nazionale, osserva il giudicante come tale quadro normativo risulti superato e inapplicabile. Infatti il richiamo operato dai ricorrenti è alla legge (delega) n. 118/2022, la quale nello schema allora prefigurato, prevedeva un espresso divieto di porre a base di gara le singole concessioni nelle more dell’adozione a livello statale di un iter valevole per tutte le amministrazioni, da approvarsi con decreto legislativo. Tuttavia si osserva come i decreti legislativi ivi previsti non siano stati adottati entro i termini della legge di delega, risultando dunque tale divieto come tamquam non esset. Evidenzia dunque il TAR come il Comune di Zoagli abbia fatto buon governo del potere amministrativo a esso attribuito, riconoscendo espressamente al 31 dicembre 2023 la scadenza delle concessioni balneari in essere e garantendo una proroga temporalmente limitata dei titoli in essere (sino al 31 ottobre 2024), al solo fine di esperire delle procedure a evidenza pubblica, atteso che “il riordino delle concessioni  demaniali marittime di competenza del Comune risulta urgente e non ulteriormente differibile”. E tenuto conto del segmento temporale in cui tali procedure risultano avviate (con delibera di Giunta del 27 dicembre 2023), il TAR ritiene altresì legittimo il non aver preso pedissequamente a parametro i criteri di aggiudicazione previsti nell’art. 4 della l. 118/2022 (così come novellato dal d.l. 131/2024), il quale prevede espressamente come le regole inserite nell’art. 4 cit. si applichino limitatamente alle procedure avviate successivamente all’entrata in vigore di tale decreto legge (e, cioè, il 17 settembre 2024). L’indennizzo per i concessionari uscenti Da ultimo i giudici amministrativi, con riguardo all’asserita mancanza di un adeguato indennizzo per i concessionari uscenti, sottolineano come il Comune abbia quantificato in maniera corretta tale ristoro economico. In particolare il Comune aveva previsto un indennizzo per gli investimenti non ancora ammortizzati alla data del 31 dicembre 2023 (data di scadenza delle concessioni balneari), e ciò in conformità con l’allora vigente del ridetto art. 4 della l. 118/2022, non essendo applicabili al caso in esame rationae temporis –come sopra evidenziato – le nuove regole dettate dal d.l. 131/2024 che prevedono di sommare, al valore degli investimenti non ancora ammortizzati, un’equa remunerazione per gli investimenti effettuati nell’ultimo quinquennio, secondo criteri da definire con apposito decreto ministeriale, nonché di acquisire una perizia asseverata redatta da un professionista scelto in una rosa di nominativi indicati dal Presidente del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti (con spese a carico del concessionario uscente). La cessione gratuita delle opere inamovibili Sotto diverso profilo il TAR evidenzia in conclusione come in relazione al mancato rimborso per i

appalto concessione

Appalto e Concessione: scopri la differenza!

Appalto e Concessione: Qual è la Differenza che Nessuno ti ha Mai Spiegato? Qual è la differenza tra appalto e concessione? Questa è una domanda comune per chi si avvicina al mondo delle gare pubbliche. In un appalto, l’impresa che si aggiudica il contratto viene remunerata per eseguire un lavoro ovvero erogare un servizio/fornitura richiesto dall’ente pubblico, come costruire una strada o fornire servizi di pulizia. Il pagamento è fissato dal contratto e non dipende dal risultato economico del progetto. Questo significa che, una volta portata a corretta esecuzione la prestazione, l’impresa riceverà il pagamento pattuito, indipendentemente dal modo in cui la fornitura ovvero il lavoro/servizio richiesto sarà impiegato dall’Amministrazione. Gli appalti sono generalmente caratterizzati da un rischio economico limitato per l’impresa, poiché il pagamento è stabilito e garantito dalla stazione appaltante. Tuttavia, è importante rispettare tutte le specifiche e i tempi di consegna previsti nel contratto e nel capitolato speciale d’appalto, per evitare l’applicazione di penalità o vedersi escussa la garanzia fidejussoria prestata dall’appaltatore. Concessione e Appalto: Chi Rischia di Più e Chi Guadagna di Più? Nella concessione, invece, il concessionario non solo realizza o gestisce lavori o servizi pubblici, ma ottiene il suo guadagno direttamente dalla gestione stessa. Questo significa che il concessionario si assume il rischio economico del progetto. Ad esempio, se una società ottiene una concessione per gestire un’autostrada, dovrà occuparsi della manutenzione e della gestione dell’infrastruttura, ma potrà anche guadagnare attraverso i pedaggi pagati dagli utenti. Un altro esempio di concessione potrebbe essere la gestione di un punto ristoroall’interno di un parco pubblico, dove il concessionario guadagna dalla vendita di cibo e bevande. La concessione comporta quindi un rischio maggiore rispetto all’appalto, poiché il guadagno dipende dal successo della gestione e dalla domanda del servizio. Se la gestione non è efficace, il concessionario potrebbe subire delle perdite economiche. Tuttavia, se la gestione è ben organizzata e la domanda è elevata, il guadagno può essere significativo, rendendo la concessione un’opportunità potenzialmente molto redditizia. Le concessioni richiedono una grande capacità di gestione e un’attenta pianificazione economico-finanziaria per massimizzare i profitti e minimizzare i rischi. Partecipare a Gare di Appalto e Richiedere Concessioni: I Segreti del Successo Sia per gli appalti che per le concessioni, le procedure sono regolate dal decreto legislativo 31 marzo 2023, n. 36 (cosiddetto “Codice dei contratti pubblici”), che impone il ricorso a procedure di gara a evidenza pubblica per garantire trasparenza e concorrenza. Questo significa che gli enti pubblici devono pubblicare bandi di gara aperti a tutte le imprese interessate, le quali possono così presentare le proprie offerte. Le regole e i requisiti possono essere complessi, e i documenti da preparare sono numerosi e dettagliati. Per questo motivo, è essenziale avere una preparazione solida e un supporto qualificato. Ogni fase del processo, dalla presentazione della domanda di partecipazione alla formulazione dell’offerta, richiede competenze specifiche. La gestione della documentazione è altrettanto cruciale per rispettare le richieste e le tempistiche previste. Inoltre, è fondamentale definire una strategia chiara e ben strutturata, sia per il controllo dei costi. La presentazione del piano economico-finanziario, infatti, gioca un ruolo determinante per la valutazione complessiva del progetto. Una strategia efficace aumenta le possibilità di successo nella competizione. Questo approccio garantisce una gestione ottimale delle risorse e una partecipazione più competitiva alle gare pubbliche. Con una preparazione adeguata e un piano ben definito, è possibile affrontare ogni sfida con maggiore sicurezza. L’Avvocato Massimiliano Campofranco: Il Tuo Alleato per Appalti e Concessioni L’Avvocato Campofranco offre un supporto completo durante tutte le fasi necessarie per partecipare a gare di appalti, bandi e concessioni. Segue con precisione anche la successiva esecuzione del contratto, occupandosi dell’analisi dei documenti di gara e della predisposizione della documentazione richiesta. Inoltre, gestisce il rilascio delle polizze fideiussorie e la verifica legale del piano economico-finanziario e dei requisiti generali e specifici previsti dal disciplinare e dal capitolato d’appalto. Grazie alla sua esperienza, l’Avvocato Campofranco ti aiuterà a garantire la conformità normativa e a migliorare la competitività del tuo progetto, rendendolo ben strutturato e in grado di affrontare le sfide della gara. Se devi partecipare a una gara di appalto o per una concessione, compila il form alla fine dell’articolo e richiedi una consulenza gratuita oggi stesso. L’Avvocato Campofranco sarà lieto di aiutarti a semplificare le procedure complesse, offrendoti il supporto necessario per affrontare ogni fase con fiducia e aumentare le tue possibilità di ottenere l’appalto o la concessione desiderata.

occupazione abusiva

Il Consiglio di Stato sull’indennizzo da occupazione abusiva del demanio dovuto alla scadenza delle concessioni balneari

Il Consiglio di Stato avalla l’operato di un Comune che aveva ritirato i propri precedenti ordini di introito nei confronti di titolare di concessione demaniale marittima scaduta, per riqualificare il credito come indennizzo da occupazione abusiva   Con la recente sentenza n. 6687/2024 del 24/07/2024 il Consiglio di Stato va a esaminare le conseguenze della perdurante occupazione di un’area demaniale alla scadenza del titolo, condividendo l’impostazione del Comune di Giulianova, il quale aveva stabilito come da tale momento il precedente concessionario debba corrispondere non più un canone concessorio, bensì un indennizzo da occupazione abusiva, sino al rilascio dell’area. Il giudizio di primo grado Nel caso in esame, il giudizio trae origine da un ricorso promosso da un soggetto titolare di concessione demaniale marittima dall’anno 2002 il quale, sulla base di tale titolo, occupava l’area demaniale con uno stabilimento balneare gestito dallo stesso. Dall’anno 2015 l’Agenzia del Demanio svolgeva delle verifiche che portavano all’emersione di una maggiore consistenza della superficie pertinenziale a destinazione commerciale rispetto a quella dichiarata dalla società. In conseguenza di ciò, pertanto, il Comune provvedeva a notificare diversi atti di recupero degli importi pretesi. Nel corso dell’anno 2019 veniva emesso dal GIP di Teramo nell’ambito del procedimento avviato nei confronti della titolare della società per l’occupazione abusiva di suolo demaniale, stante la scadenza della concessione in data 31 dicembre 2007, un decreto di sottoposizione a sequestro preventivo dell’area. In tale contesto, evidenzia il Consiglio di Stato, come “La Corte di cassazione, con sentenza n. -OMISSIS-, ha accolto il ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Teramo avverso l’ordinanza del Tribunale della libertà di Teramo, rilevando che: « la concessione rilasciata alla -OMISSIS-, con scadenza alla data del 31 dicembre 2007, non potendo essere prorogata automaticamente per effetto dell’immediata applicazione nell’ordinamento interno della Direttiva Bolkestein, era tamquam non esset. Essa semplicemente non “esisteva” più al momento dell’entrata in vigore dell’art 1, comma 18, D.L. n. 194 del 2009, conv. in L. n. 25 del 2010, e, come tale non poteva essere oggetto di proroga al 31 dicembre 2015 e, quindi, al 31 dicembre 2020». A seguito della sopra indicata sentenza, dunque, e in considerazione degli elementi agli atti della relativa istruttoria, l’amministrazione comunale, connota prot. n.-OMISSIS-, ha incentrato le pretese sull’indennizzo per occupazione abusiva, ritirando, quindi, i precedenti ordini di introito sul presupposto dell’occupazione sine titulo dell’area demaniale”. In altre parole cioè, se in un primo momento l’Amministrazione inviava atti volti al recupero del dovuto fondandoli sul titolo concessorio rilasciato, in un secondo momento, prendendo le mosse dalla scadenza della concessione, riteneva mutata la natura della pretesa creditoria e la riqualificava come indennizzo per occupazione abusiva. I motivi di ricorso Per quel che interessa in questa sede, il ricorrente, in primo grado, contestava: a) la giurisdizione del giudice amministrativo; b) la scadenza della concessione alla data del 31 dicembre 2007; c) l’esercizio del potere dell’Amministrazione nella parte in cui annullava i precedenti atti di introito -fondati sul presupposto dell’efficacia del rapporto concessorio – sostituendoli con successivi atti di recupero fondati invece sull’occupazione abusiva delle aree demaniali. Il giudice di prime cure dichiarava il ricorso in parte improcedibile e in parte infondato. In particolare, evidenziava in primo luogo come “La presente controversia rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sulle concessioni di beni pubblici, ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. b), cod. proc. amm., comprensiva anche di quelle aventi ad oggetto i canoni concessori, quando essi siano determinati per atto autoritativo dell’amministrazione concedente, e si ponga una questione in merito alla qualità dei beni insistenti sulla superficie demaniale come nel caso di specie. Di contro, la giurisdizione esclusiva è esclusa nelle sole controversie meramente patrimoniali “concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi” che restano, così, devolute alla giurisdizione ordinaria”. Quanto alla scadenza della concessione demaniale marittima, evidenzia come nel caso in esame questa fosse scaduta alla data del 31 dicembre 2007, non potendo essere prorogata automaticamente per effetto dell’immediata applicazione nell’ordinamento interno della Direttiva Bolkstein, che rendeva dunque il titolo concessorio tamquam non esset. Essa semplicemente non “esisteva” più al momento dell’entrata in vigore dell’art. 1, comma 18, D.L. n. 194 del 2009, conv. in L. n. 25 del 2010, e come tale non poteva essere oggetto di proroga al 31 dicembre 2015 e, quindi, al 31 dicembre 2020. In relazione all’operato dell’Amministrazione comunale, il TAR evidenzia come la iniziale qualificazione della pretesa creditoria quale canone di occupazione demaniale non possa essere considerato – neanche in via implicita – quale regolarizzazione postuma della situazione in diritto, essendo la concessione scaduta, senza possibilità di sanatoria, alla data del 31 dicembre 2007. Esaminando nel merito la doglianza di parte ricorrente che denunciava l’illegittimità di tali provvedimenti impositivi per essere questi stati adottati dopo i 18 mesi previsti dall’art. 21-nonies l. 241/1990, il TAR evidenzia come il successivo annullamento in autotutela di tali atti, al fine do adottare ulteriori atti impositivi che qualificavano questa volta la pretesa creditoria come derivante da occupazione abusiva di area demaniale marittima, viene considerato dai giudici di primo grado quale atto dovuto a carattere vincolato. Ne deriva dunque che anche laddove il provvedimento risulti astrattamente annullabile, ai sensi dell’art. 21-octies della l. 241/1990 questo risulterebbe non annullabile per meri vizi procedurali come quelli sollevati dalla ricorrente. Il giudizio d’appello Nel giudizio di secondo grado preliminarmente viene rigettato l’appello incidentale promosso dall’Agenzia del Demanio in ordine all’ insussistenza della giurisdizione amministrativa, confermando come venendo in rilievo l’esercizio da parte della pubblica amministrazione di poteri discrezionali-valutativi nella determinazione del dovuto. Nel caso in esame, inoltre, le contestazioni formulate dalla ricorrente involgevano anche la qualità dei beni insistenti sull’area demaniale, sia in relazione all’incameramento delle superfici in esito al sopralluogo espletato nel 2008 sia quanto alla consistenza effettiva delle superfici aventi destinazione commerciale, con deduzioni che ineriscono alla definire la natura giuridica del rapporto concessorio, da cui poi discende, quale conseguenza, l’imputazione degli oneri e la loro misura, secondo le vigenti disposizioni normative.Venendo, dunque, in rilievo la verifica dell’azione autoritativa della P.A. sull’economia dell’intero rapporto concessorio, il conflitto tra

Corte costituzionale concessioni demaniali marittime

La Corte costituzionale accoglie il ricorso dello Stato contro la legge della Regione Sicilia in tema di proroghe delle concessioni demaniali marittime

La Corte costituzionale censura il meccanismo di proroga automatica delle concessioni demaniali marittime previsto nella Regione Sicilia Con la recentissima sentenza n. 109/2024 del 24/6/2024 la Consulta, in accoglimento del ricorso presentato dallo Stato, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 36 della legge della Regione Siciliana 22 febbraio 2023, n. 2 (Legge di stabilità regionale 2023-2025), nella parte in cui sposta ulteriormente in avanti il termine di presentazione della domanda di proroga delle concessioni demaniali marittime in essere. In via preliminare la Corte costituzionale, delineando il quadro normativo di riferimento, evidenzia come  l’art. 36 della legge regionale siciliana, intitolato «Modifiche di norme in materia di concessioni demaniali marittime», introduca nuovi termini per le concessioni demaniali marittime. Nella sua prima parte, stabilisce il nuovo termine del 30 aprile 2023 per la presentazione delle domande di proroga delle concessioni attualmente in vigore. In precedenza l’art. 1, comma 1, della legge della Regione Siciliana 14 dicembre 2019, n. 24 (Estensione della validità delle concessioni demaniali marittime), aveva disposto l’estensione delle concessioni demaniali esistenti al 31 dicembre 2018 fino al 31 dicembre 2033, a condizione che il concessionario presentasse apposita domanda. Questa estensione era in linea con le previsioni statali contenute nell’art. 1, commi 682 e 683, della legge 30 dicembre 2018, n. 145 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021), che avevano fissato una durata di quindici anni (quindi fino al 2033) per le concessioni demaniali marittime vigenti al momento della loro entrata in vigore. Nel corso del giudizio, l’Avvocatura dello Stato ha osservato come la disposizione regionale impugnata corrobori la proroga delle concessioni demaniali marittime fino al 31 dicembre 2033, nonostante i citati commi 682 e 683 dell’art. 1 della legge n. 145 del 2018 siano stati abrogati, per «incompatibilità con l’ordinamento unionale», dall’art. 3, comma 5, lettera a), della legge 5 agosto 2022, n. 118 (Legge annuale per il mercato e la concorrenza 2021), con conseguente violazione dei vincoli derivanti dall’ordinamento unionale e, quindi, dell’art. 117, primo comma, della Costituzione. Dopo aver ripercorso il travagliato iter dei vari interventi legislativi susseguitisi in tema di concessioni demaniali marittime a livello nazionale, la Consulta si sofferma sull’analisi della normativa regionale siciliana. In particolare osserva come, da ultimo, l’art. 1, comma 1, della legge reg. Siciliana n. 24 del 2019, conformemente alle previsioni dei commi 682 e 683 dell’art. 1 della legge n. 145 del 2018, prevedesse la possibilità di una proroga ex lege delle concessioni in essere, a patto che il concessionario presentasse apposita domanda entro il 30 aprile 2020. Tale termine di presentazione della domanda è stato a sua volta prorogato a più riprese, sino alla previsione dell’art. 36 della legge reg. Siciliana n. 2 del 2023, oggetto di censura nella sentenza in esame, con la quale il termine per la presentazione delle domande è stato differito al 30 aprile 2023. La Corte precisa che sebbene le censurate previsioni legislative non comportino, di per sé, una proroga delle concessioni in essere (effetto che dipende invece dall’art. 1 della legge reg. Siciliana n. 24 del 2019, mai impugnato dal Governo), queste hanno l’effetto concreto di confermare l’ultravigenza delle concessioni, in quanto abilitano la platea degli aventi diritto a presentare domanda per un notevole lasso di tempo aggiuntivo. In tale prospettiva, pertanto, viene riconosciuta l’attualità dello Stato a dolersi dell’illegittimità costituzionale del censurato art. 36 in relazione alla fonte interposta costituita dall’art. 12 della direttiva 2006/123/CE (c.d. Direttiva Bolkestein, della cui prevalenza sul diritto nazionale abbiamo già ampiamente discusso). Entrando poi nel merito del giudizio, la Consulta si esprime nei seguenti termini: “In una più recente occasione, e sempre in sede di giudizio in via principale, questa Corte – sia pure con riferimento alle concessioni per lo sfruttamento delle acque minerali e termali, ma con affermazioni che mantengono validità anche per le concessioni del demanio marittimo – è giunta ad analoghe conclusioni, questa volta con esplicito riferimento alle previsioni dell’art. 12 della direttiva 2006/123/CE (evocata quale parametro interposto, allora come nel presente giudizio). Sulla premessa che tale disposizione impone l’obbligo, sufficientemente preciso, di procedere a una selezione tra i candidati potenziali, «che presenti garanzie di imparzialità e di trasparenza e preveda, in particolare, un’adeguata pubblicità dell’avvio della procedura e del suo svolgimento e completamento», questa Corte ha, quindi, ribadito che «il rinnovo o la proroga automatica delle concessioni del demanio marittimo (da ultimo, sentenza n. 1 del 2019) […] viola l’art. 117, primo comma, Cost., per contrasto con i vincoli derivanti dall’ordinamento dell’Unione in tema di libertà di stabilimento e di tutela della concorrenza, dal momento che altri operatori non avrebbero la possibilità, alla scadenza della concessione, di concorrere per la gestione se non nel caso in cui il vecchio gestore non chieda la proroga o la chieda senza un valido programma di investimenti» (sentenza n. 233 del 2020).Le affermazioni che precedono vanno ribadite anche con riguardo alla questione odierna, pur se, a differenza dei precedenti citati, il differimento del termine disposto dalla norma qui impugnata non si riferisce questa volta (come già visto) alla vera e propria proroga delle concessioni demaniali – che trova origine nella più risalente previsione della legge regionale n. 24 del 2019 – ma esclusivamente alla presentazione, da parte del titolare in scadenza, dell’istanza di proroga del titolo. Occorre tuttavia rilevare che la rinnovazione anche solo di quest’ultima possibilità finisce con l’incidere sul regime di durata dei rapporti in corso, perpetuandone il mantenimento, e quindi rafforza, in contrasto con i principi del diritto UE sulla concorrenza, la barriera in entrata per nuovi operatori economici potenzialmente interessati alla utilizzazione, a fini imprenditoriali, delle aree del demanio marittimo. Va dunque dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 36 della legge reg. Siciliana n. 2 del 2023, per violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione alle previsioni interposte dell’art. 12 della direttiva 2006/123/CE”. Articolo scritto da Avvocato Massimiliano Campofranco – settore Diritto Amministrativo e Appalti Studio Campofranco – Viale Italia 128 Ladispoli (RM) Contattaci Seguici sui social

Concessioni balneari

Concessioni balneari: in prossimità dell’avvio della stagione perdura la situazione di incertezza

Alle porte della stagione balneare, il Consiglio di Stato torna sulla necessità di indire procedure di gara per l’assegnazione delle concessioni.   Con la recente sentenza n. 3940/2024 del 30 aprile 2024, la settima sezione del Consiglio di Stato si è trovata a dover affrontare nuovamente il tema della scadenza delle concessioni balneari, facendo emergere ancora una volta la necessità di indire con urgenza delle procedure ad evidenza pubblica per individuare i nuovi concessionari. Rinviando ai precedenti contributi per un’analisi di dettaglio del quadro normativo sotteso ai temi trattati, andremo ad analizzare alcuni punti fermi che vengono ancora una volta evidenziati dai Giudici di Palazzo Spada. La vicenda trae origine da un ricorso presentato dal titolare di uno stabilimento balneare, il quale aveva impugnato due distinte delibere di Giunta Comunale che avevano disposto delle proroghe temporalmente limitate (la prima sino al 31/12/2021 e la seconda sino al 30/09/2022, entrambe in applicazione della normativa emergenziale emanata durante la pandemia di COVID-19), lamentando il fatto che la normativa allora vigente (nello specifico l’art. 1, commi 682 e 683 della l. 145/2018) prevedeva invece una proroga generalizzata per le concessioni demaniali marittime sino al 31/12/2033. Il giudizio di primo grado si concludeva con una pronuncia di improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse in quanto veniva rilevata dai giudici di prime cure la sopravvenienza, in pendenza di giudizio, di una normativa statale (e, nello specifico, l’ art. 3 della l. n. 118 del 2022) disciplinante la medesima materia dei gravati provvedimenti (cfr. sentenza TAR Liguria, sez. I, n. 49/2023 del 3/1/2023). In particolare, ad avviso del TAR la l. 118/2022 non poteva che considerarsi come legge-provvedimento e, dunque, direttamente regolatrice del rapporto tra Comune e concessionario, tale che eventuali atti amministrativi disciplinanti tali rapporti tra le parti, si sarebbero potuti considerare come meramente ricognitivi dell’effetto prodotto dalla norma legislativa di rango primario, con la conseguenza che l’annullamento degli atti impugnati non avrebbe fornito alcuna utilità al ricorrente. Tale sentenza veniva impugnata innanzi al Consiglio di Stato sulla base di diversi motivi di appello. Nello specifico venivano: a) censurata la qualificazione della tale norma come legge-provvedimento; b) rilevata la necessità di disapplicare la stessa l. 118/2022 in quanto incompatibile con la disciplina eurounitaria; c) riproposti infine i motivi di ricorso non esaminati in primo grado in conseguenza della dichiarazione di improcedibilità. Il Consiglio di Stato, nel rigettare integralmente le censure mosse alla sentenza di primo grado, fornisce un quadro completo della situazione normativa attuale, facendo emergere ancora una volta la necessità, al fine di rimuovere la situazione di totale incertezza che affligge da anni gli operatori del settore, di procedere quanto prima con l’indizione delle procedure di gara volte all’individuazione dei nuovi titolari delle concessioni balneari. In particolare meritano di essere evidenziati i seguenti punti: Laddove si volesse ritenere non direttamente applicabile alle concessioni in essere la legge 118/2022, che stabilisce il termine delle stesse al 31/12/2023, la normativa astrattamente applicabile risulterebbe art. 1, commi 682 e 683, della l. n. 145 del 2018 (che disponevano invece quale termine delle stesse quello del 31/12/2033). Tuttavia in ossequio alla giurisprudenza tanto europea (da ultimo: Corte di Giustizia UE, 20 aprile 2023, in causa C-348/22) quanto nazionale (da ultimo Cons. St., sez. VII, 3 novembre 2023, n. 9493) il citato art. 1, commi 682 e 683 della l. 145/2018 è pacificamente da considerarsi inapplicabile in quanto contrario alla normativa eurounitaria, con la conseguenza che la disapplicazione della l. 118/2022 porterebbe non alla “revivescenza” del precedente termine stabilito al 31/12/2033, bensì alla necessità di dare immediatamente corso alla procedura di gara per assegnare la concessione in un contesto realmente concorrenziale. La risorsa alla base della concessione è da ritenersi sicuramente scarsa e la presenza di un interesse transfrontaliero non può essere negata sulla base della limitata rilevanza economica della concessione (e, dunque, non v’è alcun dubbio circa la sussistenza dei requisiti oggettivi per l’applicazione della c.d. Direttiva Bolkestein). Sulle base di tali considerazioni ne deriva “la reiezione dei motivi con cui l’appellante contesta la sentenza impugnata laddove ha dichiarato improcedibile l’originario ricorso, avuto riguardo all’interesse fatto valere da Bagni San Michele nel presente giudizio e, cioè, l’accertamento della durata del rapporto fino al 2033 sulla base delle previgenti disposizioni di cui alla l. n. 145 del 2018, che essa vorrebbe far rivivere, una volta abrogata dalla l. n. 118 del 2022, con un effetto paradossale e contrario a tutta la ormai costante e granitica giurisprudenza della Corte di Giustizia UE in questa materia, effetto non giustificato in nessun modo dalla presunta peculiarità della vicenda qui controversa“. In chiusura i Giudici di Palazzo Spada, evidenziando nuovamente la situazione di assoluta incertezza venutasi a creare per l’effetto delle plurime proroghe disposte con legge  – puntualmente ritenute tamquam non esset dalla giurisprudenza – affermano come: “La conferma dell’improcedibilità, anche per le ragioni sin qui esposte, esime il Collegio dall’esame dei molteplici motivi di ricorso proposti in primo grado, dato che comunque permarrebbe l’effetto di proroga della concessione sino al 31 dicembre 2023 originariamente disposto dall’art. 3 della l. n. 118 del 2022 e ormai scaduto (termine, come ricorda la stessa appellante, prorogato sino al 31 dicembre 2024 con disposizione introdotta dalla l. n. 14 del 2023 che, però, dovrebbe e deve essere essa stessa disapplicata: Cons. St., sez. VI, 1° marzo 2023, n. 2192), per tutto quanto già chiarito”. In conclusione, dunque, si evidenzia nuovamente come la giurisprudenza consideri pacificamente inapplicabili tutte le proroghe disposte per legge oltre il termine del 31/12/2023, con la conseguenza che le attuali concessioni demaniali marittime sono da considerarsi come già scadute. Sulla base di tali considerazioni, dunque, va sottolineato come la prosecuzione dell’attività da parte degli attuali concessionari possa essere intrapresa in via di mero fatto, senza che vi sia una tutela in diritto delle loro posizioni. Non possiamo dunque che rimanere in attesa di un auspicabile intervento normativo che regoli la materia in maniera definitiva e ponga fine alla perdurante situazione di incertezza. Per approfondimenti si rinvia ai precedenti: Concessioni Demaniali Marittime:

Concessioni demaniali marittime

Concessioni demaniali marittime: no al subentro per silenzio-assenso

Il Consiglio di Stato affronta la questione dell’applicabilità del silenzio-assenso nell’ambito del procedimento volto al subentro di un soggetto terzo nelle concessioni demaniali marittime in essere. Con sentenza n. 796/2024 del 25/01/2024 il Consiglio di Stato, sez. VII, torna ad affrontare la delicata questione del subentro nel titolo concessorio di un soggetto terzo rispetto all’amministrazione concedente e al concessionario originario, sottolineando l’inconfigurabilità di qualsivoglia meccanismo di sostituzione soggettiva automatica che prescinda da una valutazione discrezionale da parte dei pubblici poteri. La vicenda trae origine da un provvedimento di rigetto al trasferimento della titolarità adottato dal Comune di Anzio, nell’ambito di una richiesta effettuata da una società costituita ad hoc per il subentro in una concessione demaniale, di cui era titolare una fallenda ditta individuale. All’interno del giudizio di primo grado, innanzi al Tribunale Amministrativo per il Lazio, la ricorrente censurava tale diniego sulla base dell’asserito perfezionamento del silenzio-assenso, di cui all’art. 20 della legge 241/1990 e smi, in relazione alla domanda di subentro presentata. In particolare, sosteneva che decorsi trenta giorni dalla presentazione della domanda, in caso di inerzia da parte dell’Amministrazione, la domanda sarebbe stata da intendersi come approvata, con conseguente consumazione del potere autorizzatorio in capo al Comune. In subordine, parte ricorrente sottolineava come, in ogni caso, ai sensi degli artt. 46 del R.D. 30 marzo 1942, n. 327 (Codice della navigazione) e 30 del d.P.R. 15 febbraio 1952, n. 328 (recante il “regolamento per l’esecuzione del codice della navigazione”), il subentro di un soggetto terzo nella titolarità della concessione sarebbe subordinato ad espressa autorizzazione da parte dell’autorità concedente nel solo caso di vendita o di esecuzione forzata. Tuttavia, il Tar Lazio rigettava tali doglianze osservando come “Dalla lettura della norma emerge come il legislatore abbia ricostruito le vicende circolatorie delle concessioni demaniali marittime secondo lo schema della novazione soggettiva, trattandosi della sostituzione di un soggetto nell’ambito di un rapporto concessorio preesistente, del quale permangono invariate le relative condizioni e scadenze. Così inteso, l’istituto del subingresso non si presenta come una relazione interprivata alla quale è estranea ogni valutazione di opportunità da parte dell’amministrazione concedente quanto, piuttosto, un istituto sui generis, contemporaneamente diverso dal rilascio della concessione (artt. 36 e ss.Cod. nav.), ma anche dalla mera autorizzazione, in cui il soggetto subentrante deve acquisire l’approvazione del concedente pena l’inefficacia della sostituzione nei rapporti con quest’ultimo”. E, ancora “l’art. 46 cod.nav., lungi dal descrivere una fattispecie autorizzatoria, delinea una potestà pubblica che partecipa della medesima natura del potere concessorio che ha condotto all’emanazione del provvedimento della cui successione si tratta, siffatta potestà non può essere circoscritta alle sole ipotesi in cui la successione nel godimento dei beni oggetto del rapporto concessorio sia stata determinata dalla vendita o dall’esecuzione forzata sui beni medesimi, dovendo piuttosto esplicarsi in tutte le ipotesi in cui al concessionario originario venga a sostituirsi un terzo, indipendentemente dal titolo privatistico sotteso alla circolazione dei beni oggetto di concessione e delle relative vicende”. Ad avviso del TAR, cioè il procedimento di subingresso, postulando il necessario apprezzamento dell’amministrazione -chiamata ad esercitare un potere di natura pubblicistica al momento dell’autorizzazione- non consentirebbe l’applicazione del meccanismo di silenzio-assenso previsto in via generale dall’art. 20, l. 241/90, che presuppone al contrario l’assenza di discrezionalità (tecnica o amministrativa) da parte dei pubblici poteri. Con la sentenza in commento, il Consiglio di Stato conferma in secondo grado la decisione del TAR Lazio, condividendone le argomentazioni giuridiche. In primo luogo il massimo consesso amministrativo evidenzia come l’inapplicabilità di automatismi nel trasferimento di titolarità delle concessioni demaniali marittime derivi, in ogni caso, dal diritto eurounitario, sottolineando come: “innanzitutto, che in considerazione di quanto previsto, all’art.12, dalla Direttiva CE n.123 del 2006 (cd. “Direttiva Bolkestein), per come interpretata, anche da ultimo, dalla Corte di Giustizia con la decisione del 20 aprile del 2023 resa nella causa C-348/22 (per l’analisi della quale rimandiamo al nostro precedente articolo), tale ultimo adempimento (cioè l’adozione di un provvedimento espresso) era imposto dalla normativa comunitaria il che, ai sensi del comma 4 dell’art.20 L. 241 citata, già impediva l’operatività dell’istituto del silenzio-assenso, reclamato dal motivo in esame”. In secondo luogo pone l’accento sui profili pubblicistici che impedirebbero in ogni caso la circolazione del titolo senza una valutazione da parte dell’Amministrazione concedente, rendendo pertanto inconfigurabile ab origine l’operatività dell’istituto del silenzio-assenso che invece consentirebbe tale trasferimento sulla base della mera inerzia del Comune per un determinato lasso di tempo. In conclusione evidenzia come l’art. 46 del Codice della navigazione preveda l’espressa autorizzazione da parte del concedente non solo nello specifico caso, individuato dal comma 2, di vendita o esecuzione forzata, ma anche in via generalizzata, al comma 1, in tutti i casi di subentro da parte di un soggetto terzo rispetto all’originario rapporto concessorio. Sulla base di tali argomentazioni il Consiglio di Stato rigetta dunque l’appello, richiamando un precedente (Cons. Stato sez. V, 04/01/2018, n.52), dal quale “il Collegio non ravvisa ragioni per discostarsi (…):(“Al di là del nomen iuris utilizzato dalla norma (autorizzazione), la disciplina relativa al subingresso nella concessione demaniale marittima delinea un istituto sui generis, contemporaneamente diverso dal rilascio della concessione (artt. 36 e ss. cod. nav.), ma anche dalla mera autorizzazione; si tratta, infatti, della sostituzione di un soggetto nell’ambito di un rapporto concessorio preesistente (del quale permangono le condizioni e scadenze),e dunque di una novazione soggettiva, che necessariamente partecipa della natura della concessione demaniale, configurando una sorta di fenomeno derivativo, rispetto al quale non opera il silenzio assenso, occorrendo invece un provvedimento espresso; tale soluzione trova indiretta conferma, sul piano sistematico, nella disposizione dell’art. 30 del reg. nav. mar., il cui comma 3 stabilisce che « qualora l’amministrazione, in caso di vendita o di esecuzione forzata, non intenda autorizzare il subingresso dell’acquirente o dell’aggiudicatario nella concessione, si applicano in caso di vendita le disposizioni sulla decadenza e in caso di esecuzione forzata le disposizioni sulla revoca »; in particolare, la previsione di una revoca (dell’originaria concessione) sembra escludere che il subingresso si fondi su di un mero provvedimento di rimozione di un limite ad un diritto preesistente.”)”.

Commercio su aree pubbliche

Concessioni per il commercio su aree pubbliche: dal 2024 torna in vigore l’applicabilità della direttiva Bolkestein

La legge annuale per il mercato e la concorrenza approvata nel dicembre 2023 reintroduce il principio dell’affidamento mediante gara pubblica per le concessioni relative al commercio su aree pubbliche.   Con la recente legge 30 dicembre 2023, n. 214 “Legge annuale per il mercato e la concorrenza 2022” il legislatore, seppure in maniera per certi versi contraddittoria, (re)introduce il principio dell’affidamento delle concessioni per l’attività di commercio su aree pubbliche mediante procedure di gara. Per fare luce sull’attuale quadro normativo, giova fare un breve excursus delle disposizioni che dal 2010, tra iniziali tentativi di aprire la materia al mercato, rinnovi disposti ex lege e chiusure complete ad affidamenti mediante gara pubblica, si sono andate a stratificare nel tempo. Con il decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59, rubricato “Attuazione della direttiva 2006/123/CE (cioè la c.d. direttiva Bolkestein) relativa ai servizi nel mercato interno” si tentavano di recepire all’interno dell’ordinamento italiano, i principi contenuti nella direttiva riguardanti le procedure di selezione dei concessionari. In particolare, l’articolo 16, comma 1 (ad oggi ancora in vigore nella sua formulazione originaria), riproducendo in maniera pressoché identica l’art. 12, comma 1 della direttiva Bolkestein prevedeva che “Nelle ipotesi in cui il numero di titoli autorizzatori disponibili per una determinata attività di servizi sia limitato per ragioni correlate alla scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche disponibili, le autorità competenti applicano una procedura di selezione tra i candidati potenziali ed assicurano la predeterminazione e la pubblicazione, nelle forme previste dai propri ordinamenti, dei criteri e delle modalità atti ad assicurarne l’imparzialità, cui le stesse devono attenersi”. Il successivo art. 70 comma 5 del medesimo decreto legislativo, rinviava a una successiva intesa da raggiungersi in sede di Conferenza unificata l’individuazione dei criteri per il rilascio e il rinnovo della concessione dei posteggi per l’esercizio del commercio su aree pubbliche. Tale intesa venne raggiunta il 5 luglio 2012, prevedendo un regime transitorio, con proroga temporanea delle concessioni in essere (da 5 a 7 anni, in relazione alla tipologia di attività esercitata). A distanza di pochi anni le concessioni ottennero una nuova proroga, con decreto legge n. 244 del 30.12.2016 (uno dei c.d. decreti “milleproroghe”), art. 6 comma 8, che spostò il termine di scadenza alla data del 31.12.2018. Al contempo però veniva imposto alle pubbliche amministrazioni di procedere con l’indizione di procedure per l’individuazione dei nuovi concessionari tramite pubblica selezione. Tuttavia ben poche amministrazioni davano seguito al dettato normativo, tanto che ad un solo anno di distanza, con legge 27 dicembre 2017, n. 205 “Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020”, all’art. 1, comma 1180 veniva disposto che “Al fine di garantire che le procedure per l’assegnazione delle concessioni di commercio su aree pubbliche siano realizzate in un contesto temporale e regolatorio omogeneo, il termine delle concessioni in essere alla data di entrata in vigore della presente disposizione e con scadenza anteriore al 31 dicembre 2020 è prorogato fino a tale data”. Al successivo comma 1181 veniva nuovamente demandata a una futura intesa in sede di Conferenza Unificata la definizione di criteri da adottare all’interno delle procedure di gara per l’individuazione dei concessionari. Questa volta, tuttavia, veniva previsto, in esplicita deroga al citato articolo 16 del d.lgs. 59/2010 “specifiche modalità di assegnazione per coloro che, nell’ultimo biennio, hanno direttamente utilizzato le concessioni quale unica o prevalente fonte di reddito per se’ e per il proprio nucleo familiare”. Pertanto, in aperto contrasto con la direttiva Bolkestein (che all’art. 12 comma 2 prevede il divieto di rinnovi automatici, nonché l’attribuzione di vantaggi ai concessionari uscenti), nel quadro delineato dal legislatore nel 2017 le nuove procedure avrebbero dovuto espressamente, per dichiarati obiettivi di politica sociale connessi alla tutela dell’occupazione, favorire gli attuali gestori, che nel biennio precedente l’indizione delle procedure avessero tratto la loro maggiore fonte di sostentamento dallo sfruttamento della concessione. Tuttavia, sia pure con tale favor per i concessionari uscenti, l’intesa per l’individuazione dei criteri di assegnazione delle nuove concessioni non venne raggiunta e addirittura, con la successiva legge di bilancio, si arrivò alla completa esclusione dal campo applicativo dei principi Bolkestein per il commercio al dettaglio sulle aree pubbliche. Con Legge del 30/12/2018 n. 145 “Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021”, all’art. 1, comma 686, infatti, viene da un lato esplicitamente abrogato l’articolo 70 del d.lgs. 59/2010, il quale richiamava l’intesa in sede di Conferenza Unificata per l’individuazione dei principi da adottare per le nuove assegnazioni delle concessioni e dall’altro introdotto l’articolo 4-bis all’art. 16 d.lgs. 59/2010 che espressamente sottrae l’intero commercio su aree pubbliche dall’ambito applicativo dell’art 16 stesso il quale, come sopra richiamato, in applicazione della direttiva Bolkestein impone il principio della pubblica gara per l’affidamento delle concessioni. A creare una situazione di incertezza che perdura sino ad oggi (analogamente a quanto accade nel settore delle concessioni balneari) è intervenuta poi la successiva Legge 17 luglio 2020, n. 77 di “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, recante misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19”. Orbene, tale legge, introducendo il comma 4-bis all’art. 181 del citato d.l. 34/2020 dispone per le concessioni ancora non ri-assegnate ai sensi della citata intesa sancita in sede di Conferenza unificata il 5 luglio 2012 e con scadenza entro il 31.12.2020 un rinnovo ex lege, previa verifica della sussistenza di determinati requisiti, di 12 anni a partire da tale data, cioè con scadenza al 31.12.2032. Tale rinnovo automatico, così come accade per le concessioni balneari, ha tuttavia l’effetto di creare una grande incertezza per tutti gli operatori del settore in quanto da un lato le concessioni sembrerebbero aver legittimamente una durata sino alla durata indicata nel titolo (cioè potenzialmente sino a fine 2032), ma dall’altro tali rinnovi, così come accade per il settore delle concessioni balneari (rinviando sul punto ai precedenti articoli :La Sorte Delle Concessioni Balneari Dopo La Sentenza Della Corte