Appalti Pubblici

animali nei circhi

Animali nei circhi…è possibile vietarlo?

Cerchiamo di fare luce sulla normativa che disciplina l’utilizzo di animali nei circhi e all’interno di spettacoli itineranti.   Dopo le recenti vicende che hanno interessato la città di Ladispoli, con le conseguenti e comprensibili domande dei cittadini in ordine alla legittimità di presenza di animali nei circhi e sul loro possibile divieto, si ritiene opportuno un breve commento in merito da un punto di vista prettamente giuridico. Con il presente contributo si cercherà dunque di delineare in maniera sintetica la disciplina normativa relativa all’impiego di animali nei circhi e di analizzare brevemente la più rilevante giurisprudenza. La normativa sul punto è in realtà piuttosto risalente, scarna e si limita spesso a enunciazioni di principio. Gran parte delle pronunce che, come vedremo, ritengono illegittimi atti di portata generale volti ad inibire l’attività circense con presenza di animali, trovano fondamento giuridico nell’articolo 1 della Legge 18 marzo 1968 , n. 337, rubricata “Disposizioni sui circhi equestri e sullo spettacolo viaggiante”, che così dispone: “Lo Stato riconosce la funzione sociale dei circhi equestri e dello spettacolo viaggiante. Pertanto sostiene il consolidamento e lo sviluppo del settore”. In relazione alle aree da destinare a dette attività, il successivo art. 9 stabilisce che “Le amministrazioni comunali devono compilare entro sei mesi dalla pubblicazione della presente legge un elenco delle aree comunali disponibili per le installazioni dei circhi, delle attività dello spettacolo viaggiante e dei parchi di divertimento. L’elenco delle aree disponibili deve essere aggiornato almeno una volta all’anno. La concessione delle aree comunali deve essere fatta direttamente agli esercenti muniti dell’autorizzazione del Ministero del turismo e dello spettacolo, senza ricorso ad esperimento di asta. È vietata la concessione di aree non incluse nello elenco di cui al primo comma e la subconcessione, sotto qualsiasi forma, delle aree stesse. Le modalità di concessione delle aree saranno determinate con regolamento deliberato dalle amministrazioni comunali, sentite le organizzazioni sindacali di categoria. Per la concessione delle aree demaniali si applica il disposto di cui al terzo comma del presente articolo”. La successiva Legge 9 febbraio 1982, n. 37, rubricata “Provvedimenti a favore dei circhi equestri” ha successivamente previsto l’istituzione di un fondo annuo (confluito poi nel Fondo Unico per lo Spettacolo, c.d. FUS, con la Legge 30 aprile 1985, n. 163) “per la concessione di contributi agli esercenti dei circhi equestri, le cui attività debbono rispondere ai canoni della tradizione circense (art. 1, comma 1)”. Il riferimento alla “tradizione circense”, nonché la generica definizione dei circhi come “equestri” ha evidentemente sempre richiamato e presupposto l’utilizzo di animali nell’ambito delle esibizioni circensi. La definizione di “impresa circense” viene infatti delineata con Decreto del Ministero dei Beni e Delle Attività Culturali e del Turismo, del 1° luglio 2014, rubricato “Nuovi criteri per l’erogazione e modalità per la liquidazione e l’anticipazione di contributi allo spettacolo dal vivo, a valere sul Fondo unico per lo spettacolo, di cui alla legge 30 aprile 1985, n. 163”, nella seguente maniera: “Ai fini della concessione dei contributi di cui al presente Capo, è considerata “impresa circense” quella che, sotto un tendone di cui ha la disponibilità, in una o più piste ovvero nelle arene prive di tendone, oppure all’interno di idonee strutture stabili, presenta al pubblico uno spettacolo nel quale si esibiscono clown, ginnasti, acrobati, trapezisti, prestigiatori, animali esotici o domestici ammaestrati (cfr. art. 31, comma 1)”. Pacifico, dunque, che la presenza di animali nei circhi sia legittima, la tutela delle loro condizioni viene demandata, in ottemperanza a quanto previsto dal 4, comma 2, della legge n. 150 del 1992, alle linee guida della Commissione scientifica CITIES, adottate dal Ministero con delibera del 10 maggio 2000, le quali prevedono, a salvaguardia del loro benessere psicofisico, una serie di criteri da rispettare nella detenzione di animali presso circhi e mostre itineranti. Di particolare rilievo, in quanto impattanti direttamente sulla popolazione faunistica all’interno degli spettacoli, l’art. 6 che prevede il divieto assoluto di nuova acquisizione di animali selvatici e la detenzione, salvo casi particolari,  di specie protette e l’art. 7 che impone l’obbligo di reperimento di animali unicamente attraverso appositi programmi di riproduzione in cattività, ovvero attraverso la compravendita di animali riprodotti in cattività. Passando in rassegna alcune delle pronunce giurisdizionali sul punto, merita anzitutto richiamare il decreto presidenziale del Tar Lazio -Roma, Sez. II-ter n. 3346/2017 del 4.7.2017 emesso nell’ambito di un giudizio promosso proprio contro Comune di Ladispoli, il quale, sebbene pronunciato in relazione a un’istanza cautelare, e dunque adottato a seguito di una sommaria valutazione e con valenza meramente provvisoria, riporta i consolidati indirizzi giurisprudenziali in materia. Nella fattispecie concreta venivano impugnate una serie di note inviate dal Comune al ricorrente con le quali, tra l’altro, si invitava lo stesso, al fine di acquisire l’autorizzazione temporanea ad esercitare attività di spettacolo circense, a “provvedere all’inoltro di un’autodichiarazione attestante la volontà di impegnarsi a rispettare tutte le disposizioni del vigente Regolamento per il “Possesso e la tutela degli animali” approvato con deliberazione di Consiglio comunale n. 14 del 01/04/2014 ed in particolare a garantire l’attendamento nel periodo richiesto senza gli animali vietati dallo stesso”. Esaminando la questione controversa, il TAR evidenzia come sia “del tutto pacifico nel panorama giurisprudenziale che la normativa di settore, nella sua globalità, consente lo spettacolo con l’impiego degli animali nei circhi ( art. 1 della L. n.337del 1968, artt. 1 e 2 della L.n.37 del 1982), talché il divieto preconcetto e immotivato di detti spettacoli è da ritenersi indebito e illegittimo, ancor più quando è perseguito – come nel caso di specie – in via indiretta, mediante il diniego della concessione temporanea di area pubblica per l’installazione degli impianti circensi. Se è pacifico il potere dell’ente locale di disciplinare e vigilare nell’esercizio dei suoi poteri di polizia veterinaria sulle condizioni di igiene e sicurezza pubblica in cui si svolge l’attività circense e su eventuali maltrattamenti degli animali, sanzionati anche penalmente dall’art.727, non esiste, tuttavia, una norma legislativa che attribuisca allo stesso il potere di fissare in via preventiva e generalizzata il divieto assoluto di uso degli animali in spettacoli,

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Nuovo Codice dei contratti pubblici: subito novità in tema di parità di genere

A pochi giorni dalla sua entrata in vigore, il nuovo Codice dei contratti pubblici viene immediatamente modificato, introducendo l’obbligo di valorizzare gli operatori economici in possesso della certificazione della parità di genere.   Come segnalato in questo precedente articolo, il nuovo Codice dei contratti pubblici (Decreto legislativo 31 marzo 2023, n. 36) è entrato in vigore il 1° aprile 2023 e le sue disposizioni hanno acquisito efficacia a partire dal 1° luglio 2023. Tuttavia, con una tecnica legislativa che sin da subito mette in allarme sul rischio che il corpus normativo venga “ritoccato” in maniera frammentata e poco organica, la Legge 3 luglio 2023 n. 87, di conversione – con modifiche – del Decreto legge 10 maggio 2023, n. 51 ha introdotto un nuovo periodo al comma 7, art. 108 del Codice, che così dispone: “Al fine di promuovere la parità di genere, le stazioni appaltanti prevedono nei bandi di gara, negli avvisi e negli inviti, il maggior punteggio da attribuire alle imprese per l’adozione di politiche tese al raggiungimento della parità di genere comprovata dal possesso della certificazione della parità di genere di cui all’articolo 46-bis del codice delle pari opportunità tra uomo e donna, di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198”. Anche al fine di raggiungere gli obiettivi previsti dal PNRR (nello specifico la milestone M5C1-12, inquadrata nell’ambito della missione 5 – inclusione e coesione) il legislatore intende dunque premiare quegli operatori economici che siano attivamente coinvolti nel raggiungimento della parità di genere, certificata nelle modalità previste dal d.lgs. 198/2006, in maniera apparentemente più convinta rispetto al passato. L’art. 95 comma 13 del d.lgs. 50/2016 già contemplava, infatti, la previsione di un “maggior punteggio” da attribuire in favore delle imprese dotate della certificazione in esame, che tuttavia ha trovato scarsa applicazione nella prassi. Ad ogni modo, la diversa formulazione nel nuovo Codice dei contratti pubblici sembrerebbe far intendere che tale punteggio aggiuntivo debba essere obbligatoriamente inserito negli atti di gara. Non possiamo dunque che attendere  e osservare come il nuovo dettato normativo verrà interpretato dalle Stazioni Appaltanti e quale rilievo otterrà concretamente la certificazione della parità di genere nell’ambito della valutazione delle offerte tecniche. Articolo scritto da Avvocato Massimiliano Campofranco – settore Diritto Amministrativo e Appalti Studio Campofranco – Viale Italia 128 Ladispoli (RM) Contattaci Seguici sui social

studio campofranco professionisti associati avvocati consulenti commercialisti ladispoli e cerveteri - Approvato lo schema del nuovo Codice dei contratti pubblici

Approvato in via preliminare il testo del nuovo Codice dei contratti pubblici

Il Consiglio dei Ministri ha approvato in via preliminare lo schema definitivo del nuovo Codice dei contratti pubblici elaborato dal Consiglio di Stato e destinato ad entrare in vigore a partire dal primo aprile 2023 Lo scorso 16 dicembre, in attuazione dell’articolo 1 l. 21 giugno 2022, n. 78, rubricata “Delega al Governo in materia di contratti pubblici”, è stato approvato in esame preliminare dal Consiglio dei Ministri il testo del nuovo Codice dei contratti pubblici. Il nuovo Codice, che prima della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dovrà passare l’esame delle competenti Commissioni parlamentari e del Consiglio di Stato ed essere approvato in via definitiva dal Consiglio dei ministri, si applicherà a tutte le procedure di gara indette a partire dal 1° aprile 2023 ed è composto da 229 articoli suddivisi in 5 libri: Ferma restando la non definitività del testo approvato, si sottolineano sin da subito gli aspetti che appaiono di più rilevante interesse: DIGITALIZZAZIONE L’intera parte II del libro I viene dedicata alla “Digitalizzazione del ciclo di vita dei contratti”. L’intenzione del legislatore sembrerebbe quella di voler ridurre quanto più possibile gli oneri burocratici posti in capo agli operatori economici introducendo nuovi principi quali quello della “unicità dell’invio” di cui all’art. 19 comma 2, che esclude la possibilità per le stazioni appaltanti di richiedere informazioni acquisibili tramite banche dati delle pubbliche amministrazioni o introducendo strumenti come il “fascicolo virtuale” dell’operatore economico previsto all’art. 24 che dovrebbe costantemente contenere informazioni aggiornate circa il possesso dei requisiti di ordine generale e speciale, riducendo pertanto gli oneri dichiarativi per ciascuna singola procedura di gara. PROCEDURE SOTTO SOGLIA Viene sostanzialmente messa a regime l’attuale disciplina derogatoria prevista dal c.d. “decreto semplificazioni” di cui alla Legge 11 settembre 2020, n. 120 di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76. In particolare viene previsto l’affidamento diretto, anche senza consultazione di due o più operatori economici, di servizi e forniture sotto la soglia dei 140.000 € e la procedura negoziata senza bando, previa consultazione di almeno 5 operatori economici, per importi superiori e sino alla soglia di rilevanza europea. Con riguardo ai lavori viene previsto l’affidamento diretto, anche senza consultazione di due o più operatori economici, sotto la soglia dei 150.000 € e la procedura negoziata senza bando, previa consultazione di operatori economici in numero crescente rispetto all’importo a base di gara (5 operatori tra i 150.000€ e 1.000.000 € e 10 operatori sopra a tale ultimo importo e sino alla soglia di rilevanza europea). PREMIO DI ACCELERAZIONE Al fine di incentivare la celerità nell’esecuzione di opere pubbliche, il nuovo Codice introduce a regime il premio di accelerazione (da quantificarsi in maniera speculare alle penali per i ritardi, ovvero in misura giornaliera compresa tra lo 0,3 per mille e l’1 per mille dell’ammontare netto contrattuale) attualmente previsto dall’art. 50 del decreto-legge 31 maggio 2021, n. 77. REVISIONE PREZZI Viene confermato altresì l’obbligo di revisione prezzi, non contenuto in via organica nel vigente Codice – che prevede la revisione in via meramente facoltativa – e attualmente previsto in via transitoria per le procedure indette sino al 31 dicembre 2023 in forza dell’art. 29 del decreto-legge 27 gennaio 2022, n. 4.       Per una consultazione diretta si rinvia alla seguente documentazione: Schema del Codice dei contratti pubblici, elaborato dal Consiglio di Stato Schema del Codice dei contratti pubblici, elaborato dal Consiglio di Stato, con il testo a fronte Allegati al Codice dei contratti pubblici, elaborato dal Consiglio di Stato ​​​​Relazioni al Codice dei contratti pubblici, elaborato dal Consiglio di Stato Articolo scritto da Avvocato Massimiliano Campofranco – settore Diritto Amministrativo e Appalti Studio Campofranco – Viale Italia 128 Ladispoli

studio campofranco professionisti associati avvocati consulenti commercialisti ladispoli e cerveteri - Sulla natura recettizia del provvedimento di esclusione

Sulla natura recettizia del provvedimento di esclusione

Il Tar Lazio torna ad esaminare la natura del provvedimento di esclusione, sottolineandone la natura recettizia dalla quale discende l’illegittimità di tale provvedimento laddove comunicato in forme che non garantiscano la certezza circa la conoscibilità dell’atto. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione III-Quater, con sentenza n. 7762/2022 del 13.6.2022 ha ribadito la natura recettizia del provvedimento di esclusione, dichiarandone l’illegittimità nel caso un cui sia comunicato esclusivamente attraverso la sezione “comunicazioni” del portale MEPA. Nel caso in esame il ricorrente impugnava il provvedimento di esclusione disposto nei propri confronti, in uno con i successivi provvedimenti correlati e conseguenti, in quanto comunicato attraverso modalità inidonee a garantire il necessario livello di tutela nei confronti dei partecipanti alle procedure di gara. Nello specifico, il ricorrente veniva escluso in quanto, nonostante l’avvenuta effettuazione del sopralluogo obbligatorio, non avrebbe inserito all’interno della busta contenente la documentazione amministrativa la relativa ricevuta. Tuttavia, tale onere risultava imposto, a pena di esclusione, non già dalla lex specialis di gara, bensì da chiarimenti resi successivamente dalla stazione appaltante. In via preliminare il Tar rigetta le eccezioni di tardività sollevate da parte resistente evidenziando come il Codice dei contratti pubblici preveda una specifica disciplina in relazione alla comunicazione del provvedimento di esclusione. Tale disciplina viene dettata dall’art. 76, il quale prevede al comma 5 che “Le stazioni appaltanti comunicano d’ufficio immediatamente e comunque entro un termine non superiore a cinque giorni (…) b) l’esclusione ai candidati e agli offerenti esclusi”. Quanto alle modalità di comunicazione, il successivo comma 6 prevede che “Le comunicazioni di cui al comma 5 sono fatte mediante posta elettronica certificata o strumento analogo negli altri Stati membri”. Ne deriva, pertanto, che forme di comunicazione alternative risultano ex lege inidonee a garantire al concorrente escluso la conoscibilità dell’atto, con la conseguenza che i termini previsti per l’impugnazione dell’atto non possono iniziare a decorrere dalla comunicazione tramite portale MEPA, bensì unicamente da quella effettuata tramite posta elettronica certificata. Affrontando tale questione, i Giudici di primo grado tornano ad esaminare la natura del provvedimento di esclusione, sottolineando come “la comunicazione individuale del provvedimento di esclusione tramite p.e.c. non rappresenta tuttavia un requisito di validità dell’atto, ma un elemento costitutivo di efficacia dello stesso alla luce del principio generale dell’efficacia del provvedimento limitativo della sfera giuridica dei privati sancito nell’art. 21-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241. La disciplina connessa alla natura recettizia del provvedimento di esclusione è posta a presidio e a tutela della posizione giuridica del destinatario”. Ne deriva che la comunicazione dell’esclusione, in forza della natura recettizia del provvedimento, deve ritenersi completamente priva di efficacia sino alla ricezione dell’atto da parte del destinatario, nelle modalità previste dal Codice dei contratti pubblici poste a tutela dei concorrenti. Merita da ultimo sottolineare come il TAR esamini infine il rapporto tra lex specialis di gara e successivi chiarimenti resi dalla stazione appaltante, richiamando la costante giurisprudenza secondo la quale “L’amministrazione, a mezzo di chiarimenti auto-interpretativi, non può modificare o integrare la disciplina di gara pervenendo alla sua sostanziale disapplicazione. I chiarimenti sono infatti ammissibili se contribuiscono, con un’operazione di interpretazione del testo, a renderne chiaro e comprensibile il significato e la ratio, ma non quando, mediante l’attività interpretativa, si giunga ad attribuire a una disposizione del bando un significato e una portata diversa e maggiore di quella che risulta dal testo stesso, in tal caso violandosi il rigoroso principio formale della lex specialis, posto a garanzia dei principi di cui all’art. 97Cost. Pertanto, i chiarimenti integrativi della lex specialis nei sensi sopradetti non sono vincolanti per la commissione giudicatrice”. Articolo scritto da Avvocato Massimiliano Campofranco – settore Diritto Amministrativo e Appalti Studio Campofranco – Viale Italia 128 Ladispoli

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RTI: il nuovo ruolo della mandataria alla luce della giurisprudenza europea

Con una recente pronuncia il Consiglio di Stato recepisce gli orientamenti giurisprudenziali della Corte di Giustizia Europea in ordine al riparto interno di quote di partecipazione ed esecuzione nell’ambito dei Raggruppamenti Temporanei di Imprese (RTI). La settima sezione del Consiglio di Stato, con sentenza n. 4425/2022 del 31.5.2022 ha avallato l’ultimo arresto giurisprudenziale della Corte di Giustizia Europea che, nella pronuncia del 28.4.2022 (causa C-642/20, Caruter Srl) si è così espressa :“L’articolo 63 della direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE, deve essere interpretato nel senso che esso osta ad una normativa nazionale secondo la quale l’impresa mandataria di un raggruppamento di operatori economici partecipante a una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico deve possedere i requisiti previsti nel bando di gara ed eseguire le prestazioni di tale appalto in misura maggioritaria”. Tale pronuncia, dunque, in forza del principio di primazia del diritto euro-unitario, va ad espungere dal nostro ordinamento la disposizione dell’art. 83, comma 8, terzo periodo, del d.lgs. 50/2016 e s.m.i. (Codice dei contratti pubblici), secondo il quale, nell’ambito dei RTI “La mandataria in ogni caso deve possedere i requisiti ed eseguire le prestazioni in misura maggioritaria”. Nella vicenda portata all’attenzione dei giudici nazionali, veniva impugnata avanti al T.A.R. Veneto l’aggiudicazione di una procedura di gara, censurando l’illegittima ripartizione delle quote di esecuzione di lavori nella categoria scorporabile OG1, in quanto affidati al 50% ciascuno a due operatori economici aventi il ruolo di mandanti all’interno del RTI aggiudicatario. Nello specifico, il ricorrente contestava la mancata assunzione da parte della mandataria dell’esecuzione di dette opere in misura maggioritaria, con conseguente violazione del citato art. 83 del Codice dei contratti pubblici. Tali censure, rigettate in primo grado, venivano riproposte in sede di appello. Tuttavia, con la sentenza in commento, i Giudici di Palazzo Spada – richiamando espressamente la menzionata pronuncia della Corte di Giustizia Europea del 28.4.2022 – confermano la statuizione dei giudici di primo grado, sottolineando altresì come l’intera disciplina delle procedure di gara ad evidenza pubblica – diretta emanazione del diritto europeo – al fine di consentire la più ampia concorrenza possibile debba essere interpretata nel senso di favorire un approccio qualitativo e non quantitativo, in maniera tale da consentire l’accesso alla partecipazione anche a più imprese di piccole dimensioni raggruppate tra loro. Sulla scorta delle pronunce in esame, pertanto, ad oggi deve ritenersi inapplicabile l’art. 83, comma 8, terzo periodo, del Codice dei contratti pubblici, con conseguente illegittimità di eventuali previsioni di gara che continuino a prevedere l’obbligo per la mandataria di possedere i requisiti e  ad eseguire l’oggetto del contratto in misura maggioritaria. Articolo scritto da Avvocato Massimiliano Campofranco – settore Diritto Amministrativo e Appalti Studio Campofranco – Viale Italia 128 Ladispoli