Appalti Pubblici

Due professionisti firmano un contratto su un tavolo d’ufficio – avvalimento

Clausola risolutiva espressa e avvalimento: esclusione per requisiti incerti

Il caso esaminato dal TAR Lazio e il successivo appello Con la sentenza n. 19271 del 4 novembre 2024, il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (Sezione Quarta Ter) ha affrontato una questione che sovente si può porre all’attenzione di chi partecipa a gare d’appalto: l’inserimento, nei contratti di avvalimento, di clausole risolutive espresse che, rendendone precaria la stabilità non garantirebbero la stazione appaltante sotto il profilo del perdurante possesso dei requisiti di gara.La decisione, poi confermata dal Consiglio di Stato, Sezione V, con sentenza n. 3233 del 15 aprile 2025 , trae origine da una gara indetta da Trenitalia S.p.A. per la gestione integrata di immobili e impianti tecnologici. Un’impresa concorrente, per partecipare alla gara, aveva stipulato due contratti di avvalimento con società ausiliarie. In entrambi i casi, i contratti prevedevano che il mancato rispetto di alcune obbligazioni contrattuali comportasse la “immediata decadenza del contratto di avvalimento”, con comunicazione alla stazione appaltante. L’avvalimento “incerto” e la responsabilità dell’ausiliaria Il TAR Lazio ha osservato che simili pattuizioni finiscono per rendere aleatorio l’impegno contrattuale dell’impresa ausiliaria. In particolare, il Collegio ha ritenuto immune da censure il provvedimento di esclusione del concorrente, nell’ambito del quale il RUP ha rilevato come le clausole risolutive espresse «rendono incerta l’efficacia dei predetti avvalimenti, il che si traduce in un impegno contrattuale aleatorio destinato a ripercuotersi anche nei confronti della stazione appaltante in termini di sterilizzazione della responsabilità solidale dell’impresa ausiliaria». In altre parole, la possibilità per l’ausiliaria di far venir meno il contratto in caso di inadempimento dell’avvalente priva di certezza la disponibilità dei requisiti di partecipazione, compromettendo il presupposto stesso della responsabilità solidale tra ausiliata e ausiliaria. L’esigenza di effettività e stabilità del rapporto Il TAR ha inoltre sottolineato che la funzione dell’avvalimento richiede un impegno effettivo, sostanziale e incondizionato dell’ausiliaria a mettere a disposizione le risorse tecniche e organizzative necessarie all’esecuzione dell’appalto. La presenza di una clausola che consenta la risoluzione automatica del contratto in caso di inadempimento — e che imponga di comunicarne l’effetto alla stazione appaltante — incide direttamente sulla fiducia e sulla stabilità del rapporto trilaterale che si instaura tra concorrente, ausiliaria e amministrazione, non potendosi siffatta clausola qualificarsi come meramente “interna” e valevole esclusivamente nei rapporti tra impresa ausiliaria e impresa ausiliata, bensì, al contrario, questa inciderebbe direttamente sull’assunzione di responsabilità della prima nei confronti della Stazione Appaltante. Per questo motivo, la stazione appaltante può (e deve) valutare la serietà e l’affidabilità dell’avvalimento anche alla luce del contenuto del contratto, escludendo il concorrente qualora l’impegno dell’ausiliaria non risulti pienamente effettivo e garantito. Il principio confermato in appello La successiva sentenza del Consiglio di Stato n. 3233/2025 ha condiviso integralmente tale impostazione, ribadendo che l’avvalimento non può essere un rapporto condizionato o instabile: la certezza della messa a disposizione dei mezzi e delle capacità è elemento essenziale dell’istituto, e ogni clausola che ne comprometta l’efficacia o la continuità nega la funzione stessa dell’avvalimento. Precisa inoltre il Supremo consesso amministrativo come l’analisi nel merito del contratto di avvalimento non si traduca un inammissibile sindacato amministrativo sui contenuti autonomi del contratto inter partes, con conseguente limitazione del potere di autonomia privata, bensì di una verifica circa l’effettività e adeguatezza dell’avvalimento – in specie, sotto il profilo della sua stabilità – nell’interesse  dell’amministrazione. Conclude poi il Consiglio di Stato affermando come “il caso qui all’esame si caratterizza infatti, al di fuori di questioni inerenti alla  “estensione” del valore ed efficacia delle clausole oltre e al di là del modulo tipico dell’avvalimento, per il portato ben chiaro delle clausole introdotte dalle parti nel senso di incidere concretamente, in termini risolutivi (indicati quali “decadenza”) sull’efficacia del contratto, con contestuale prevista “immediata comunicazione all’Ente Appaltante”, così da rendere effettivamente precario l’avvalimento. Né tale carenza può essere sic et simpliciter sopperita dalla dichiarazione unilaterale dell’ausiliaria verso la stazione appaltante, atteso che, da un lato, come già osservato, si tratta di atti (e conseguenti rapporti giuridici rilevanti) distinti fra loro, ambedue indefettibili ai fini  dell’avvalimento; dall’altro, come pure osservato, le obbligazioni verso l’impresa concorrente – anch’esse imprescindibili ai fini della  configurazione dell’avvalimento, non rilevando al riguardo la sola dichiarazione d’impegno verso l’amministrazione – nascono (e sono conformate) proprio «in virtù» del contratto d’avvalimento, il cui venir meno ne comporta la decadenza. In tal senso, anche la  dichiarazione unilaterale dell’ausiliaria “di obbligarsi, nei confronti del concorrente […] a fornire i […] requisiti dei quali è carente il  concorrente e a mettere a disposizione le risorse necessarie per tutta la durata dell’appalto, nei modi e nei limiti stabiliti dall’art. 89 del D. Lgs. n. 50/2016 rendendosi inoltre responsabile in solido con il concorrente nei confronti della stazione appaltante in relazione alle prestazioni oggetto dell’appalto” non può che ritenersi in parte qua integrata dal suddetto contratto, che vale a conformare e regolare le obbligazioni assunte dall’ausiliaria verso il concorrente, peraltro con espressa ed eloquente previsione, nella specie, che della “decadenza” del contratto d’avvalimento per violazione dei suddetti impegni si sarebbe data “immediata comunicazione all’Ente Appaltante”. Né rileva di suo, in diverso senso, il richiamo da parte dell’appellante alla immanente possibilità di risoluzione del contratto ex art. 1453 Cod. civ., che afferisce alla fattispecie della risoluzione giudiziale, ben diversa dalla clausola qui introdotta nei termini suindicati, con previsto diretto effetto sul rapporto, da comunicare anche alla stazione appaltante”. Conclusioni Il principio che emerge è di grande rilievo pratico: Inserire in un contratto di avvalimento una clausola risolutiva espressa o pattuizioni analoghe che rendano incerta la stabilità del rapporto significa esporre il concorrente al rischio di esclusione, poiché viene meno la garanzia dell’effettiva e incondizionata disponibilità delle risorse oggetto di prestito. In tal modo, la clausola non solo vulnera la funzione dell’avvalimento, ma si riflette anche sulla responsabilità solidale dell’ausiliaria, che non può considerarsi effettivamente assunta nei confronti della stazione appaltante. Conclusioni La sentenza n. 3233/2025 del Consiglio di Stato conferma la centralità del principio di effettività dell’avvalimento:il contratto deve garantire in modo certo e stabile il possesso dei requisiti per tutta la durata dell’appalto.Qualsiasi clausola che introduca elementi di aleatorietà o

Il soccorso istruttorio nel d.lgs. 36/2023: tipologie previste e confini applicativi

Il Consiglio di Stato, sez. V, con sentenza n. 1425 del 20/2/2025, pronunciata all’esito del giudizio di impugnazione avverso la sentenza del TAR Campania, sezione staccata di Salerno, sez. I, n. 1600 del 29/07/2024, torna ad occuparsi dell’istituto del soccorso istruttorio, soffermandosi sulla ratio dell’istituto e sui suoi confini applicativi, inquadrandone le varie fattispecie elaborate dalla giurisprudenza. Il caso Alla base della sentenza la seguente questione. Veniva rilevato, dal secondo classificato in una procedura di gara, come l’aggiudicatario avesse omesso di indicare, all’interno dei propri documenti di gara, il nominativo del revisore legale, omettendo al contempo la relativa dichiarazione relativa al possesso dei requisiti di ordine generale ex art. 94 e ss. del d.lgs. 36/2023 (Codice dei contratti pubblici) e avesse omesso di fornire già in sede di partecipazione i documenti a comprova del possesso dei requisiti dei progettisti previsti dalla lex specialis di gara. Tali omissioni dichiarative/documentali, ad avviso del ricorrente avrebbero dovuto dunque portare all’esclusione del primo classificato. Il giudizio di primo grado In primo grado, il TAR Campania evidenziava anzitutto come la dichiarazione relativa al possesso dei requisiti generali da parte del revisore legale non si poteva considerare come puramente e semplicemente omessa tenuto conto che, sebbene il nominativo non fosse riportato all’interno del DGUE, le dichiarazioni in questo contenute e relative alla insussistenza di cause di esclusione fossero state rese in modo onnicomprensivo dall’aggiudicatario, con riferimento a tutti gli organi dotati di poteri di vigilanza e di controllo. Mentre “La mancata produzione, già al momento della partecipazione, dei documenti di comprova dei requisiti tecnico-professionali del RTP indicato non assume rilievo, in quanto ben poteva costituire oggetto di soccorso istruttorio, considerato che tali documenti sono riferiti a requisiti di cui non si contesta l’omessa dichiarazione in sede di partecipazione; l’art. 101, comma 1, lett. a, del d.lgs. n. 36/2023 prevede infatti il soccorso istruttorio ai fini dell’integrazione della documentazione già trasmessa unitamente alla domanda di partecipazione o al DGUE, senza particolari limiti. Peraltro, il punto 23 della lettera di invito prevedeva lo svolgimento delle attività di comprova solo a conclusione della procedura e a seguito della individuazione della miglior offerta, con la conseguenza che la mancata produzione della documentazione di comprova all’atto della partecipazione non ha violato la par condicio tra i concorrenti”. Le considerazioni del Consiglio di Stato Nel giudizio d’appello la ricorrente insisteva per l’accoglimento delle censure mosse avverso l’operato della stazione appaltante, che avrebbe dovuto escludere l’aggiudicataria per aver omesso il nominativo del revisore legale e fornito tardivamente i documenti a comprova dei requisiti dei progettisti. Per ciò che interessa in questa sede, osserva in primo luogo il consiglio di Stato come, nel caso in esame il disciplinare di gara prevedesse, all’art.15.1: “Le dichiarazioni in ordine all’insussistenza delle cause automatiche di esclusione di cui all’articolo 94 commi 1 e 2 del Codice sono rese dall’operatore economico in relazione a tutti i soggetti indicati al comma 3. Le dichiarazioni in ordine all’insussistenza delle cause non automatiche di esclusione di cui all’articolo 98, comma 4, lettere g) ed h) del Codice sono rese dall’operatore economico in relazione ai soggetti di cui al punto precedente”), senza correlare alcuna valenza espulsiva al deficit o all’irregolarità dichiarativa, con la conseguenza che il soccorso istruttorio poteva di certo essere esercitato in relazione ai requisiti di partecipazione non correttamente dichiarati. Conclude poi il giudice d’appello, evidenziando come le censure mosse da parte appellante fossero puramente formali e dunque non accoglibili. Infatti la semplice omessa dichiarazione da parte del revisore legale e la mancata produzione dei documenti a comprova in sede di partecipazione ben potevano essere oggetto di soccorso istruttorio e all’esito dell’acquisizione di tale documentazione, non emergeva alcun elemento che evidenziasse la carenza dei requisiti di gara, non potendosi dunque sanzionare in alcun modo la mera irregolarità/carenza dichiarativa. Il Focus sul soccorso istruttorio Il supremo consesso amministrativo evidenzia poi come sia ormai da considerarsi definitivamente superato il rigido formalismo applicato in precedenza nell’ambito del diritto amministrativo ribadendo come “riguardo all’esercizio del soccorso istruttorio procedimentale, questo Consiglio ha più volte statuito che: “Sullo specifico terreno dei contratti pubblici, il legislatore ha inteso superare tale impostazione, ampliando l’ambito applicativo dell’istituto e superando quelle concezioni rigidamente formalistiche e burocratiche del diritto amministrativo che continuavano ad incentivare il contenzioso (ridotto ad una sorta di ‘caccia all’errore’ nel confezionamento della documentazione allegata alla domanda), con effetti pregiudizievoli in termini di tempestivo ed efficiente completamento delle procedure” (Cons. Stato, VI, 24 febbraio 2022, n. 1306), affermando, inoltre, che “il soccorso istruttorio sarebbe possibile “non soltanto per ‘regolarizzare’, ma anche per ‘integrare’ la documentazione mancante”, a meno che non si tratti di “carenze e irregolarità” che attengono “all’offerta economica e all’offerta tecnica”(Cons. Stato, IV, 1 marzo 2024, n. 2042). Prosegue poi fornendo un’interessante panoramica di tutte le tipologie di soccorso istruttorio riconosciute dalla giurisprudenza nell’ambito del vigente Codice dei contratti pubblici: “Come statuito dalla sezione, alla luce delle nuove previsioni normative è ora possibile distinguere tra: “a) soccorso integrativo o completivo (comma 1, lettera a) dell’art. 101 d. lgs. n. 36 cit., non difforme dall’art. 83, comma 9), che mira, in termini essenzialmente quantitativi, al recupero di carenze della c.d. documentazione amministrativa necessaria alla partecipazione alla gara (con esplicita esclusione, quindi, della documentazione inerente l’offerta, sia sotto il profilo tecnico che sotto il profilo economico), sempreché non si tratti di documenti bensì non allegati, ma acquisibili direttamente dalla stazione appaltante (in prospettiva, tramite accesso al fascicolo virtuale dell’operatore economico); b) soccorso sanante (comma 1 lettera b), anche qui non difforme dall’art. 83, comma 9 del d. lgs. n. 50), che consente, in termini qualitativi, di rimediare ad omissioni, inesattezze od irregolarità della documentazione amministrativa (con il limite della irrecuperabilità di documentazione di incerta imputazione soggettiva, che varrebbe a rimettere in gioco domande inammissibili); c) soccorso istruttorio in senso stretto (comma 3), che – recuperando gli spazi già progressivamente riconosciuti dalla giurisprudenza alle forme di soccorso c.d. procedimentale – abilita la stazione appaltante (o l’ente concedente) a sollecitare chiarimenti o spiegazioni sui contenuti dell’offerta tecnica e/o dell’offerta economica, finalizzati a consentirne l’esatta

Operaio al lavoro, simbolo della manodopera negli appalti e nel subappalto

Indicazione dei costi della manodopera: non sussiste l’obbligo di quantificare quelli del subappaltatore

Il tema dell’indicazione dei costi della manodopera nelle offerte di gara è stato oggetto di ampio dibattito giurisprudenziale, soprattutto con riguardo alle lavorazioni affidate in subappalto. L’obbligo di indicare nella propria offerta economica i costi della manodopera viene previsto dall’art. 108 comma 9 del d.lgs. 36/2023 (Codice dei contratti pubblici) e in sede di applicazione giurisprudenziale ci si è chiesti se tale obbligo fosse da estendere anche con riguardo ai costi della manodopera impiegata dal subappaltatore. Due recenti sentenze – Consiglio di Stato, Sez. IV, 27 giugno 2025, n. 5580 e TAR Veneto, Sez. I, 9 settembre 2025, n. 1536 – hanno fornito chiarimenti significativi. Il principio affermato dal Consiglio di Stato Tale giudizio d’appello, trae origine da una pronuncia di primo grado dove “la sentenza appellata, ha ritenuto legittima l’esclusione [della ricorrente] con la motivazione che nell’offerta economica dovevano essere indicati obbligatoriamente anche i costi relativi al personale per le attività affidate in subappalto e che, in tale prospettiva, l’offerta stessa dovrebbe considerarsi carente di un elemento essenziale non integrabile con successiva dichiarazione. Più in particolare, la sentenza ha ritenuto che l’obbligo normativo di indicare i costi della manodopera nell’offerta economica debba intendersi necessariamente riferito anche a quelli interessati dall’istituto del subappalto, pena altrimenti una facile elusione della ratio sottesa alla norma, orientata alla tutela dei lavoratori senza alcuna distinzione tra  quelli impiegati alle dipendenze dell’offerente e quelli in forza al subappaltatore, i quali ultimi non potrebbero essere penalizzati rispetto ai primi”. Con la sentenza n. 5580/2025 il Consiglio di Stato ha tuttavia censurato tale impostazione e accolto il ricorso, precisando che, ai sensi del Codice dei contratti pubblici, l’obbligo di indicare i costi della manodopera riguarda esclusivamente i costi propri dell’appaltatore. Secondo i giudici di appello, infatti, in primo luogo il Codice non prevede espressamente come tale obbligo dichiarativo sia riferibile anche ai subappaltatori. In secondo luogo viene evidenziato come risulti illegittimo onerare il concorrente di obblighi dichiarativi riferiti alla sfera giuridica di soggetti terzi, in relazione a voci di costo che sfuggono al suo potere di controllo attenendo ad organizzazioni  aziendali distinte ed autonome. In relazione al potenziale aggiramento del controllo a tutela delle condizioni lavorative del personale impiegato, viene in conclusione affermato come in buona sostanza l’appaltatore si limiti ad “acquistare” un servizio dal subappaltatore, per cui viene sopportato un determinato costo, senza che vi sia corresponsione di una retribuzione. Ne deriva che le verifiche in ordine al rispetto della normativa a tutela dei lavoratori addetti al “servizio acquistato”, non può che essere condotta direttamente a carico dei subappaltatori in sede di autorizzazione, in cui la disciplina generale del subappalto concentra tutti i controlli. Il TAR Veneto conferma l’orientamento su costi della manodopera e subappalto La successiva sentenza TAR Veneto n. 1536/2025 si inserisce nel medesimo stesso solco tracciato dal Consiglio di Stato.Il Tribunale ha respinto il ricorso di un concorrente che lamentava la mancata indicazione, da parte dell’aggiudicatario, dei costi della manodopera relativi ai subappaltatori. In particolare i motivi di ricorso censuravano sotto un primo profilo come l’aggiudicataria avesse dichiarato, da un lato, di non ribassare i costi della manodopera e, dall’altro lato, in sede di giustificativi, che il ribasso offerto sarebbe stato applicato ai subappaltatori, quindi anche al costo della manodopera di questi. Sotto diverso profilo, il ricorrente lamentava come nei preventivi dei subappaltatori non fosse stato indicato il costo della manodopera, per cui la stazione appaltante non avrebbe potuto verificare il rispetto dei minimi previsti dalla normativa di settore. Tuttavia, partendo proprio dalla pronuncia del Consiglio di Stato sopra esaminata, il TAR evidenzia in primo luogo come non vi sia alcun obbligo per i concorrenti di indicare i costi della manodopera dei subappaltatori. Quanto alla potenziale lesione dei diritti dei lavoratori viene sottolineato come lo sconto offerto non può estendersi alla componente manodopera del subappaltatore e che, in ogni caso, l’impianto del Codice prevede in tal senso una robusta tutela nei confronti del personale impiegato dai subappaltatori. Respingendo tali motivi di ricorso, conclude infatti il TAR come “D’altra parte, in base all’art. 119, comma 12, del d.lgs. n. 36/2023, “Il subappaltatore, per le prestazioni affidate in subappalto, deve garantire gli stessi standard qualitativi e prestazionali previsti nel contratto di appalto e riconoscere ai lavoratori un trattamento economico e normativo non inferiore a quello che avrebbe garantito il contraente principale” e “L’affidatario corrisponde i costi della sicurezza e della manodopera, relativi alle prestazioni affidate in subappalto, alle imprese subappaltatrici senza alcun ribasso”. Inoltre in base al comma 7 del medesimo art. 119, l’affidatario è altresì responsabile in solido dell’osservanza delle norme dei contratti collettivi nazionale e territoriale da parte dei subappaltatori nei confronti dei loro dipendenti per le prestazioni rese nell’ambito del subappalto”. Implicazioni pratiche per le imprese Queste decisioni chiariscono un punto importante per gli operatori economici: non è causa di esclusione la mancata indicazione in offerta dei costi della manodopera dei subappaltatori; resta fermo l’obbligo dell’affidatario di garantire che i subappaltatori rispettino i contratti collettivi e assicurino ai lavoratori un trattamento non inferiore a quello previsto per il contraente principale (art. 119, D.lgs. n. 36/2023); le stazioni appaltanti eserciteranno i controlli in fase di autorizzazione al subappalto, non nella fase di gara. Conclusioni Le pronunce in commento segnano un punto fermo: la mancata indicazione dei costi della manodopera del subappaltatore non comporta l’esclusione dell’offerta.La verifica è rimandata alla fase esecutiva, a tutela della regolarità dei rapporti di lavoro e della corretta esecuzione dell’appalto. Per le imprese si tratta di un chiarimento utile, che riduce il rischio di esclusioni formali e orienta le strategie di partecipazione alle gare pubbliche. 📩 Vuoi approfondire come gestire correttamente i profili di subappalto nelle gare pubbliche? Contattaci per una consulenza dedicata.

Facciata del Consiglio di Stato a Palazzo Spada, Roma, relativa alla sentenza n. 7091/2025 sui ribassi troppo alti nelle gare d’appalto

Ribassi troppo alti e revoca della gara: il Consiglio di Stato conferma la legittimità dell’autotutela della stazione appaltante

Quando in una procedura di gara i ribassi offerti dai concorrenti risultano particolarmente elevati, la stazione appaltante può decidere di rivedere la propria valutazione iniziale e revocare l’intera procedura. È quanto ha ribadito il Consiglio di Stato, con sentenza n. 7091/2025 pronunciata dalla Sezione Quinta. Il caso: una gara per i servizi di banca depositaria Una Fondazione aveva indetto una procedura ristretta per l’affidamento dei servizi di banca depositaria e dei servizi connessi alla gestione del proprio patrimonio mobiliare. All’esito della valutazione delle offerte, erano emersi ribassi molto consistenti: due concorrenti avevano presentato riduzioni superiori al 56% e un altro si era attestato intorno al 47%. Ritenendo che tali valori fossero sintomatici di un’erronea determinazione della base d’asta – considerata quindi troppo alta rispetto alle condizioni reali di mercato – la Fondazione aveva deciso di revocare l’intera procedura, annunciando una nuova gara con criteri aggiornati e più aderenti al fabbisogno. Il contenzioso davanti al TAR e al Consiglio di Stato L’operatore economico risultato primo in graduatoria aveva contestato la revoca davanti al Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sostenendo che la decisione fosse illegittima e sproporzionata. Il TAR aveva respinto il ricorso, ritenendo che si trattasse di una valutazione insindacabile di merito amministrativo. L’impresa ha quindi proposto appello al Consiglio di Stato, lamentando che non vi fossero i presupposti per la revoca e che i ribassi offerti non potessero giustificare una decisione così radicale. La decisione del Consiglio di Stato Il Consiglio di Stato, ribadendo il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui “anche in relazione ai procedimenti a evidenza pubblica, l’amministrazione conserva la potestà discrezionale di ritirare in autotutela il bando, i singoli atti della gara e lo stesso provvedimento di aggiudicazione, ancorché definitivo, laddove riscontri la presenza di illegittimità, ovvero a fronte di motivi di interesse pubblico tali da rendere inopportuna, o anche solo da sconsigliare, la prosecuzione della procedura”, ha confermato la legittimità della revoca, precisando che: l’individuazione della base d’asta è una valutazione di natura tecnico-discrezionale della stazione appaltante, che può essere riesaminata in presenza di elementi indiziari gravi; ribassi particolarmente elevati (nel caso in esame, 56% e 47%) rappresentano  un dato autoevidente, sufficiente a far sospettare una sovrastima del valore posto a base di gara; l’individuazione dell’importo da porre a base d’asta, da parte della stazione appaltante, è la risultante di una valutazione, di natura tecnico-discrezionale, da compiere in relazione all’oggetto del contratto da affidare; la stazione appaltante conserva sempre il potere di revocare la procedura in autotutela, purché lo faccia per motivi di interesse pubblico e con una motivazione congrua, nel caso in esame soddisfatta dall’aver riscontrato ex post una erronea valutazione estimativa effettuata in sede di indizione della gara; il potere di revoca di cui all’art. 21-quinquies della l.241/1990 implica l’esercizio di un potere di natura discrezionale, il cui utilizzo tuttavia (contrariamente da quanto sostenuto dal TAR Lazio in primo grado) non sfugge al sindacato del giudice amministrativo, che ben ne può rilevare l’assenza di logicità o di proporzionalità, o, ancora, la carenza di presupposti o il travisamento dei fatti o, infine, il difetto di motivazione. Di conseguenza, sia pure accogliendo le doglianze dell’appellante in relazione alla sindacabilità in sede giurisdizionale (che il giudice di prime cure aveva invece ritenuto insussistente) della potestà discrezionale dell’amministrazione, il Consiglio di Stato ha respinto l’appello e la scelta della Fondazione di rinnovare la gara è stata ritenuta conforme ai principi di legittimità e buon andamento della pubblica amministrazione. Spunti operativi per le imprese Questa decisione offre due spunti di riflessione utili per gli operatori economici: Attenzione ai ribassi eccessivi – Offerte con riduzioni troppo elevate, pur potendo risultare vincenti nel breve termine, possono indurre la stazione appaltante a ritenere errata la propria base d’asta e a revocare la procedura, con conseguente perdita di tempo e risorse per i concorrenti. Revoca come potere discrezionale – Le imprese devono essere consapevoli che la revoca di una gara, se motivata da ragioni di interesse pubblico e da una valutazione non illogica, difficilmente potrà essere annullata in giudizio. In definitiva, la sentenza conferma un principio importante: il ribasso non è l’unico parametro decisivo. Conta anche la sostenibilità dell’offerta rispetto al mercato e l’equilibrio complessivo della procedura. 📄 Scarica qui la Sentenza Consiglio di Stato n. 7091/2025 sul tema dei ribassi troppo alti e della revoca della gara d’appalto. 📩 Scrivici dal modulo contatti qui sotto, oppure chiamaci per una consulenza dedicata.

Autobus giallo per trasporto scolastico – appalti viaggi di istruzione D.L. 127/2025

Gare d’appalto per il trasporto nei viaggi di istruzione: le novità del D.L. 9 settembre 2025, n. 127

Nella Gazzetta Ufficiale n. 209 del 9 settembre 2025 è stato pubblicato il D.L. 9 settembre 2025, n. 127, recante “Misure urgenti per la riforma dell’esame di Stato del secondo ciclo di istruzione e per il regolare avvio dell’anno scolastico 2025/2026”.Il provvedimento, pur avendo come obiettivo principale il settore scolastico, contiene una disposizione che incide direttamente sul Codice dei contratti pubblici (D.lgs. n. 36/2023), introducendo regole specifiche per l’affidamento degli appalti relativi al trasporto scolastico finalizzato a uscite didattiche e viaggi di istruzione. La modifica all’art. 108 del Codice dei contratti pubblici L’art. 5 del decreto legge interviene sull’art. 108 del Codice dei contratti pubblici, che disciplina i criteri di aggiudicazione degli appalti di lavori, servizi e forniture, introducendo alcune novità di rilievo: obbligo del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa (OEPV): viene aggiunta la lettera f-bis) al comma 2, contenente l’elenco di tipologie di contratti per i quali è obbligatoria l’OEPV. In ossequio a tale novità normativa, dunque,  i contratti relativi ai servizi di trasporto scolastico nell’ambito delle uscite didattiche e dei viaggi di istruzione, devono essere aggiudicati esclusivamente con questo criterio, con esclusione del prezzo più basso; tetto massimo alla componente economica: oltre a imporre l’obbligo di affidamento mediante il criterio dell’OEPV, il decreto in esame estende la disciplina di cui al quinto periodo del comma 4, per cui anche per l’affidamento de i contratti relativi ai servizi di trasporto scolastico nell’ambito delle uscite didattiche e dei viaggi di istruzione, viene imposto un tetto ai punteggi attribuibili all’offerta economica pari al 10%. Correlativamente, dunque, la valutazione dell’offerta complessiva riguarderà per almeno il 90% la componente tecnico-qualitativa. La centralità della sicurezza e della qualità: alla luce di quanto sopra, è evidente come l’obiettivo del legislatore sia quello di spostare l’attenzione dalla mera dimensione economica alla qualità del servizio. Da ultimo, la norma in commento specifica che le stazioni appaltanti devono valorizzare criteri oggettivi idonei ad attestare la disponibilità di sistemi e dispositivi volti a incrementare la sicurezza del trasporto e ad agevolare l’accessibilità e il trasporto di persone con disabilità, nonché le competenze tecniche dei conducenti. In questo modo, i servizi di trasporto scolastico vengono inquadrati non solo come forniture di carattere logistico, ma come prestazioni che richiedono standard elevati di sicurezza, affidabilità e inclusività. Un intervento coerente con il sistema del Codice Dal punto di vista tecnico, la scelta di modificare direttamente l’art. 108 del Codice si conforma al principio sancito dall’art. 227 del D.lgs. n. 36/2023, che impone che ogni intervento in materia di contratti pubblici avvenga mediante modifica espressa del Codice stesso.In questo modo si preserva la centralità del testo unico e si evita la dispersione normativa che aveva caratterizzato il precedente Codice del 2016, frequentemente derogato con disposizioni speciali e temporanee. Conclusioni Il D.L. n. 127/2025 introduce una modifica circoscritta ma significativa: per i viaggi di istruzione il prezzo non è più il criterio dirimente.A determinare l’aggiudicazione saranno soprattutto la qualità del servizio, le garanzie di sicurezza, l’attenzione all’accessibilità e la professionalità dei conducenti. Per le imprese del settore trasporti questo significa confrontarsi con gare in cui la competitività si gioca su aspetti qualitativi, mentre per le istituzioni scolastiche si apre la possibilità di selezionare partner affidabili in grado di offrire standard più elevati a tutela degli studenti. 📩 Scrivici dal modulo contatti qui sotto, oppure chiamaci per una consulenza dedicata.

Verifica dell’offerta anomala: non serve predeterminare ogni elemento specifico ai fini della valutazione nel bando

Offerta anomala nelle gare d’appalto: non serve predeterminare ogni possibile elemento di valutazione già negli atti di gara La sentenza n. 259/2025 del Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia torna su un tema centrale nella gestione delle gare d’appalto: la legittimità della verifica sull’offerta potenzialmente anomala anche in assenza di elementi specifici predeterminati nella lex specialis di gara. Una pronuncia che, alla luce del nuovo Codice dei contratti pubblici (D.lgs. 36/2023), fornisce indicazioni fondamentali per le stazioni appaltanti e per gli operatori economici. In tema di valutazione delle offerte potenzialmente anomale il “nuovo” Codice, infatti, a differenza di quello precedente (d.lgs. 50/2016), prevede espressamente, all’art. 110, comma 1, come “Il bando o l’avviso indicano gli elementi specifici ai fini della valutazione”. Il caso: esclusione per offerta anomala ritenuta insostenibile Il contenzioso è nato a seguito dell’esclusione della prima classificata nella gara per la gestione del Centro di permanenza per i rimpatri di Gradisca d’Isonzo. L’offerta era stata sottoposta a verifica di anomalia su iniziativa dell’amministrazione, nonostante nel disciplinare di gara non fossero stati individuati in modo dettagliato i predetti “elementi specifici” ai sensi dell’art. 110 del nuovo Codice. La stazione appaltante ha ritenuto insostenibile, tra l’altro, il prezzo giornaliero di € 5,80 per la fornitura pasti, rispetto alla base di gara di € 11,83, e le giustificazioni addotte dall’operatore economico sono state considerate generiche e non suffragate da dati concreti. Il principio affermato dal TAR: non esiste un autovincolo assoluto Il ricorso è stato respinto. Il TAR ha chiarito che l’art. 110 del D.lgs. 36/2023 non vieta alla stazione appaltante di avviare la verifica dell’anomalia anche in assenza di una elencazione esaustiva degli elementi nel bando. La norma mira a garantire trasparenza e prevedibilità nei casi in cui la verifica sia automatica, ma non esclude che, in via discrezionale, l’amministrazione possa attivare il controllo se emergono ex post indizi concreti di anomalia. Secondo il TAR, sarebbe illogico impedire tale verifica solo perché un certo indicatore – ad esempio un prezzo palesemente sottostimato – non era previsto nella lex specialis. La stazione appaltante non può vincolarsi da sola all’inazione di fronte a offerte manifestamente insostenibili. La valutazione tecnica dell’offerta anomala: sindacabile solo entro limiti ristretti Nel merito, il TAR ha giudicato ragionevole e non illogica la valutazione di anomalia dell’offerta compiuta dall’amministrazione. È stato ritenuto inverosimile che i pasti potessero essere forniti con le quantità e qualità previste nel capitolato a fronte di costi così contenuti (come, ad esempio, un pranzo completo a € 1,51). È stato inoltre rilevato come il prezzo indicato per il 2025 fosse addirittura inferiore a quello del 2023, nonostante l’inflazione. Anche il tentativo di giustificare il costo con economie di scala e vantaggi da forniture consolidate è stato respinto per mancanza di riscontri oggettivi. Cosa cambia per le imprese Questa pronuncia conferma che: La verifica sull’offerta anomala può essere attivata anche in assenza di una previsione completa di tutti gli elementi astrattamente valutabili ai fini della verifica di anomalia, se emergono elementi specifici dopo l’apertura delle offerte. L’onere della prova sull’attendibilità dell’offerta è a carico dell’operatore economico, che deve fornire elementi concreti e documentabili. Il giudizio tecnico dell’amministrazione è insindacabile, salvo evidenti travisamenti dei fatti. Un precedente da non sottovalutare Il TAR Friuli Venezia Giulia si allinea così a un orientamento già affermato dal Consiglio di Stato, ribadendo che la tutela dell’interesse pubblico alla sostenibilità dell’offerta prevale su ogni formalismo interpretativo. Una lezione importante per chi partecipa alle gare pubbliche: predisporre offerte competitive sì, ma sempre accompagnate da giustificazioni solide, verificabili e coerenti con l’oggetto della prestazione. 📩 Scrivici dal modulo contatti qui sotto, oppure chiamaci per una consulenza dedicata.

parità di genere

Parità di genere e gare pubbliche: quando è consentito l’avvalimento premiale?

Avvalimento premiale e certificazione di parità di genere: cosa ha stabilito il Consiglio di Stato Come abbiamo già chiarito in questo articolo, le stazioni appaltanti sono tenute a prevedere, nei bandi di gara, un criterio premiale legato al possesso della certificazione di parità di genere. Si tratta di un requisito sempre più strategico: consente infatti di ottenere punti aggiuntivi in fase di valutazione dell’offerta tecnica. Ma cosa succede se l’impresa che partecipa alla gara non possiede direttamente la certificazione e intende “prenderla in prestito” da un’altra impresa tramite avvalimento? È possibile farlo? Con la sentenza n. 5345/2025 del 18 giugno 2025 il Consiglio di Stato ha risposto a questo quesito, tracciando un confine chiaro tra ciò che è legittimo e ciò che non lo è. Il caso: l’aggiudicazione con avvalimento della certificazione Il Comune di Bolzano aveva bandito una gara per la fornitura di buoni pasto ai propri dipendenti. Tra i criteri premianti, erano previsti 2 punti aggiuntivi per chi possedeva la certificazione di parità di genere. Un’impresa partecipante, non in possesso della certificazione, ha dichiarato di avvalersi di un’impresa ausiliaria che invece la possedeva. In questo modo ha ottenuto i 2 punti e ha vinto la gara. La seconda classificata ha promosso ricorso innanzi al Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa del Trentino, sostenendo che quella certificazione non poteva essere oggetto di avvalimento. Il TAR ha accolto le doglianze della ricorrente, sostenendo sul punto come “la certificazione di parità di genere attiene ad una condizione soggettiva intrinseca dell’azienda che non può costituire oggetto di un contratto di avvalimento, perché non assimilabile ad una risorsa da mettere adisposizioni di terzi che poi la potrebbero impiegare nell’esecuzione di un lavoro o di un servizio”, ma tale pronuncia è stata poi impugnata davanti al Consiglio di Stato. Cosa ha stabilito il Consiglio di Stato Il Consiglio di Stato ha confermato che l’avvalimento premiale è legittimo anche per la certificazione di parità di genere. Questo perché: la certificazione è assimilabile alle altre certificazioni di qualità aziendale (come quelle ISO); il nuovo Codice dei contratti pubblici (d.lgs. 36/2023) consente espressamente l’avvalimento anche solo per migliorare l’offerta (art. 104), non solo per integrare i requisiti di partecipazione; il legislatore non ha previsto alcun divieto per l’avvalimento su questo tipo di certificazione. fuori dall’ambito dei requisiti generali (corrispondenti alle cause di esclusione) di cui agli artt. 94 e 95 del Codice, che riguardano l’imprenditore quale soggetto, è sempre ammesso il ricorso all’istituto dell’avvalimento. Ma attenzione: il contratto di avvalimento deve essere redatto in maniera puntuale e dettagliata Nonostante il principio favorevole, il Consiglio di Stato ha comunque annullato l’aggiudicazione. Il motivo? Il contratto di avvalimento era troppo generico: si limitava a citare la certificazione, senza specificare quali risorse, procedure o assetti organizzativi venivano messi a disposizione. Secondo il massimo consesso di giustizia amministrativa, un contratto di avvalimento privo di contenuti concreti è nullo ex art. 104, comma 1, secondo periodo del Codice: serve indicare con precisione cosa viene trasferito, soprattutto se si tratta di una certificazione che attesta prassi aziendali effettive, come quella sulla parità di genere. Cosa devono sapere le imprese Sì, è possibile usare l’avvalimento premiale per ottenere punteggi aggiuntivi legati alla certificazione di parità di genere. Ma il contratto di avvalimento deve essere dettagliato, concreto e verificabile, a pena di nullità. Le dichiarazioni generiche possono costare l’aggiudicazione. Hai dubbi su come impostare un avvalimento premiale o su come valorizzare le tue certificazioni nelle gare? Contattaci. Lo Studio Campofranco assiste imprese che partecipano a gare pubbliche e ti aiuta a costruire offerte solide, efficaci e conformi al nuovo Codice degli appalti. 📩 Scrivici dal modulo contatti su studiocampofranco.it oppure chiamaci per una consulenza dedicata.

Appalti pubblici: manodopera obbligatoria per tutti i partecipanti

Manodopera negli appalti pubblici: obbligo per tutti i concorrenti, non solo per il primo

Appalti pubblici: incostituzionale la previsione che impone al solo primo classificato la dichiarazione dei costi della manodopera Un recente intervento della Corte costituzionale (sentenza n. 80 del 19 giugno 2025) chiarisce una questione fondamentale in tema di appalti pubblici: tutti i concorrenti devono indicare, sin dalla fase dell’offerta, il costo della manodopera e gli oneri per la sicurezza. Non è legittimo, invece, prevedere che tale obbligo valga solo per l’impresa che si classifica al primo posto in graduatoria. Il caso È stata sollevata in via principale questione di legittimità costituzionale in relazione all’art. 22, comma 13, della legge della Provincia di Bolzano 16 luglio 2024, n. 2 che prevedeva come “In fase di procedura di gara la stazione appaltante richiede al solo concorrente collocatosi primo in graduatoria di indicare il costo della manodopera e del personale nonché gli oneri aziendali concernenti  l’adempimento delle disposizioni in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro”. La ratio dichiarata era quella di semplificare e velocizzare la gestione delle gare, limitando gli adempimenti formali ai soli casi realmente rilevanti ai fini dell’aggiudicazione. Tale disposizione, ad avviso del ricorrente Presidente del Consiglio dei ministri sarebbe stata, in estrema sintesi, in contrasto con gli artt. 108, comma 9, e 110, comma 1, del decreto legislativo 31 marzo 2023, n. 36 (Codice dei contratti pubblici) Cosa prevede il Codice dei contratti pubblici L’articolo 108, comma 9, del Codice dei contratti pubblici impone agli operatori economici di indicare, a pena di esclusione, i costi della manodopera e gli oneri aziendali per la sicurezza già in sede di offerta. Tale obbligo non è solo un aspetto formale, ma risponde a esigenze sostanziali: garantire la trasparenza dell’offerta e la tutela dei diritti dei lavoratori, elementi che devono essere valutati ex ante dalla stazione appaltante. A confermare questa impostazione interviene anche l’articolo 110, comma 1, dello stesso Codice, che richiama tali costi tra i parametri fondamentali per la verifica dell’anomalia dell’offerta. Perché la norma provinciale è stata ritenuta incostituzionale Secondo la Corte costituzionale, la normativa provinciale contrasta con l’impostazione del Codice nazionale per due motivi principali: Elusione dell’obbligo dichiarativo: la richiesta dei costi solo al primo classificato vanifica l’effetto deterrente della norma statale e compromette la trasparenza del procedimento di gara; Rischio di valutazioni ex post: rinviare l’indicazione dei costi alla fase successiva alla graduatoria introduce una fase opaca in cui l’offerta può essere completata o modificata, contravvenendo al principio di parità di trattamento tra i concorrenti. La Corte ha inoltre chiarito che la tutela della concorrenza e del lavoro, così come delineata dal Codice dei contratti pubblici, costituisce una materia di competenza esclusiva dello Stato. Nemmeno le Province autonome, dotate di competenze primarie in materia di lavori pubblici, possono derogare a questi principi fondamentali, perché si tratta di norme di riforma economico-sociale e attuative di obblighi europei. Le conseguenze operative per le imprese Tutti gli operatori che partecipano a gare pubbliche devono essere consapevoli che la mancata indicazione dei costi della manodopera e della sicurezza in sede di offerta può comportare l’esclusione automatica dalla procedura. Non è possibile demandare questa indicazione a fasi successive, né contare su eventuali soccorsi istruttori o rettifiche. Per le imprese si tratta quindi di un obbligo strategico: la corretta e preventiva indicazione di questi costi, all’interno dell’offerta economica, non solo è necessaria per evitare l’esclusione, ma rappresenta anche una dimostrazione di affidabilità, serietà e conformità ai principi di legalità e trasparenza. Conclusioni La sentenza della Corte costituzionale conferma un orientamento rigoroso già consolidato nella giurisprudenza amministrativa: nelle gare pubbliche, l’indicazione dei costi della manodopera è un elemento strutturale dell’offerta. Ogni tentativo di semplificazione procedurale che comporti un allentamento di questo obbligo si scontra con le esigenze di tutela del lavoro e di concorrenza leale tra gli operatori. Prenota ora una consulenza Se hai un’impresa che partecipa o vuole partecipare a gare d’appalto e necessiti di assistenza legale, compila il form qui di seguito per prenotare una consulenza l’Avv. Massimiliano Campofranco.

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Decreto Infrastrutture 73/2025: le principali modifiche al Codice dei Contratti Pubblici

Il Decreto-Legge 21 maggio 2025, n. 73, noto come “Decreto Infrastrutture”, è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 116 ed è entrato in vigore il 21 maggio 2025. Questo provvedimento introduce modifiche significative al Codice dei Contratti Pubblici (D.Lgs. 36/2023), con l’obiettivo di garantire la continuità nella realizzazione di infrastrutture strategiche, migliorare la gestione dei contratti pubblici e facilitare l’attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). Le principali novità introdotte 1. Incentivi alle funzioni tecniche estesi ai dirigenti L’articolo 2 del decreto modifica l’art. 45 del D.Lgs. 36/2023, prevedendo che gli incentivi per le funzioni tecnichepossano essere corrisposti anche al personale con qualifica dirigenziale. Questa disposizione deroga al principio di onnicomprensività del trattamento economico previsto dall’art. 24 del D.Lgs. 165/2001. Le amministrazioni devono trasmettere agli organi di controllo le informazioni sugli importi corrisposti e sul numero dei beneficiari. 2. Revisione prezzi retroattiva L’articolo 9 introduce disposizioni urgenti in materia di revisione prezzi, applicabili anche ai contratti di lavori affidati sulla base di documenti di gara redatti ai sensi dell’art. 29, comma 1, lettera a), del D.L. 4/2022, a condizione che non abbiano beneficiato dei fondi per la revisione prezzi previsti dall’art. 26 del D.L. 50/2022. Si consente quindi l’applicazione ex post della disciplina del Codice 2023. 3. Estensione della somma urgenza Il decreto amplia la nozione di somma urgenza, includendo anche le emergenze previste dal Codice della Protezione Civile. In tali casi è consentito l’affidamento diretto oltre le soglie ordinarie dell’art. 50 del Codice dei Contratti Pubblici, per accelerare gli interventi necessari. 4. Qualificazione con lavori affidati in subappalto Il decreto prevede un periodo transitorio che consente alle imprese di qualificarsi anche con lavori affidati in subappalto, per le gare con bando o avviso pubblicato prima del 31 dicembre 2024. Questo alleggerisce le restrizioni del D.Lgs. 209/2024, che limitava la qualificazione ai soli lavori eseguiti direttamente. Conclusioni Il Decreto Infrastrutture 73/2025 introduce modifiche rilevanti al Codice dei Contratti Pubblici, con l’obiettivo di semplificare le procedure, accelerare la realizzazione delle opere pubbliche e favorire la transizione energetica. Tuttavia, alcune misure – come l’estensione degli incentivi ai dirigenti e la revisione prezzi retroattiva – potrebbero sollevare questioni interpretative e applicative. Per un’analisi più dettagliata o per ricevere supporto specifico, ti invito a consultare la sezione dedicata agli appalti pubblici sul sito dello Studio Campofranco. Prenota una consulenza con l’Avv. Campofranco Se desideri approfondire le novità introdotte dal Decreto Infrastrutture 73/2025 e capire come queste possano influire sulla tua attività, compila il form qui sotto per prenotare una consulenza con l’Avv. Massimiliano Campofranco, esperto in appalti pubblici e concessioni.

Comune condannato a pagare gli interessi di mora: ecco cosa dice la legge

Il Tribunale di Civitavecchia ha recentemente pronunciato una sentenza importante sul tema dei ritardi nei pagamenti da parte delle pubbliche amministrazioni. Un Comune è stato condannato al pagamento degli interessi di mora alla società affidataria del servizio di gestione del trasporto pubblico locale, per aver saldato con ritardo quanto dovuto all’appaltatore. Cosa ha stabilito il Tribunale La clausola contrattuale che escludeva gli interessi di mora è stata dichiarata nulla, perché in contrasto con l’art. 7 del D.lgs. 231/2002 (“Attuazione della direttiva 2000/35/CE relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali”). Il Comune non è riuscito a dimostrare che il ritardo fosse dovuto a cause a esso non imputabili. Non è sufficiente invocare come il ritardo nei pagamento sarebbe derivato dal ritardo “a monte” nella ricezione di fondi da parte di altra pubblica amministrazione. Per andare esenti da responsabilità serve dimostrare di aver fatto tutto il possibile per evitare il ritardo. Il principio di responsabilità oggettiva del debitore La sentenza ribadisce un principio chiave: il committente resta responsabile del pagamento anche in presenza di finanziamenti terzi, salvo patti contrattuali validi e conformi alla normativa. Come ha ricordato la giurisprudenza di legittimità, “non può essere esclusa la responsabilità del debitore per il ritardato pagamento in quanto i fatti, in apparenza ascrivibili al soggetto terzo-finanziatore, restano imputabili al committente-debitore”. Quando scatta la nullità delle clausole contrattuali Il giudice ha evidenziato che anche laddove siano presenti clausole in favore della pubblica amministrazione che escludono a priori l’applicazione degli interessi di mora, queste sono da considerarsi gravemente inique e quindi nulle, senza possibilità di prova contraria, in ossequio a quanto previsto dall’art. 7 del D.lgs. 231/2002. Clicca qui per leggere la sentenza completa › Le implicazioni per chi partecipa a gare e appalti Chi partecipa a bandi di gara o lavora con la pubblica amministrazione deve analizzare attentamente la disciplina contrattuale, per comprendere a pieno come tutelare i propri interessi e diritti in caso di ritardi nei pagamenti.  In caso di dubbi o contestazioni, è fondamentale agire in modo tempestivo e supportare la propria posizione con prove documentali, come solleciti e corrispondenza. Se ti occupi di appalti pubblici e hai bisogno di capire come tutelarti da clausole vessatorie o ritardi nei pagamenti, prenota una consulenza senza impegno compilando il form di contatto qui sotto.