A un mese dalla scadenza delle attuali concessioni balneari cerchiamo di fare luce sui possibili scenari.
Come sottolineato nei precedenti articoli, si sono stratificati nel tempo diversi innesti normativi e sentenze – tanto nazionali quanto europee – che hanno reso estremamente difficoltoso individuare una data certa di scadenza delle concessioni, in attesa di una riforma del settore che sembra non arrivare mai.
Cercando di fornire una sintesi quanto più stringente, ricordiamo che, ad oggi, il termine ordinario di scadenza di tutte “le concessioni demaniali marittime, lacuali e fluviali per l’esercizio delle attività turistico-ricreative e sportive”, nonché dei “rapporti aventi ad oggetto la gestione di strutture turistico-ricreative e sportive in aree ricadenti nel demanio marittimo per effetto di provvedimenti successivi all’inizio dell’utilizzazione” risulterebbe (il condizionale è d’obbligo) fissato al 31/12/2024 in forza dell’art. 3, comma 1, legge 5 agosto 2022, n. 118 (termine inizialmente fissato dalla stessa legge al 31/12/2023 e successivamente esteso di 1 anno con il Decreto-Legge 29 dicembre 2022, n. 198, convertito con modificazioni dalla L. 24 febbraio 2023, n. 14).
Tuttavia, il meccanismo di rinnovo automatico delle concessioni in essere disposto per legge è stato dichiarato illegittimo in una moltitudine di sentenze da parte dei giudici amministrativi (su tutte si richiama la pronuncia del Consiglio di Stato, sez. VI, 1.3.2023 n. 2192 che prendeva in esame proprio l’appena citato d.l. 198/2022 e per la quale rimandiamo al precedente articolo, anche per un’analisi più approfondita su rapporti tra legge italiana e diritto europeo), in quanto in diretto contrasto con l’articolo 12, comma 2 della Direttiva Bolkestein (Direttiva 2006/123/Ce del Parlamento Europeo e del Consiglio).
In considerazione della riscontrata illegittimità di proroghe disposte ex lege, dunque, appare ragionevole considerare -in via prudenziale – quale naturale data di scadenza delle concessioni quella del 31/12/2023, come inizialmente previsto dal citato art. 3, co. 1, l. 118/2022 e come individuato dal Consiglio di Stato in Adunanza Plenaria con le sentenze “gemelle” nn. 17 e 18 del 9/11/2021 (per l’analisi delle quali rimandiamo nuovamente a quanto già pubblicato in precedenza. Video – Articolo).
Ciononostante, ad avviso di chi scrive, sembrerebbe ragionevole ritenere legittima una proroga delle attuali concessioni per l’anno 2024 (e salva in ogni caso la clamorosa possibilità di riconoscere come inapplicabile sul territorio italiano la stessa direttiva Bolkestein), in virtù delle considerazioni che si vanno subito ad esporre.
Va preliminarmente ricordato come l’art. 12 comma 1 della direttiva imponga l’obbligo di gara pubblica per l’individuazione dei concessionari, solo laddove il numero di autorizzazioni astrattamente concedibili sia limitato in ragione della scarsità delle risorse naturali.
Orbene, per dare avvio ai nuovi affidamenti delle concessioni balneari tramite pubblica gara e verificare l’eventuale sussistenza (o no) di “scarsità” della risorsa naturale, il citato d.l. 198/2022, all’art. 10-quater, ha istituito un Tavolo tecnico consultivo in materia di concessioni demaniali marittime, lacuali e fluviali, con lo scopo di effettuare, in via preliminare, una mappatura delle coste italiane.
Orbene, tale attività si è conclusa nello scorso ottobre, quando sono state presentate al Governo le risultanze della mappatura. Già solo il dato temporale, dunque, sembrerebbe giustificare la possibilità di proroga prevista dall’art. 3, comma 3 l. 118/2022, il quale dispone che “in presenza di ragioni oggettive che impediscono la conclusione della procedura selettiva (…), connesse, a titolo esemplificativo, alla pendenza di un contenzioso o a difficoltà oggettive legate all’espletamento della procedura stessa, l’autorità competente, con atto motivato, può differire il termine di scadenza delle concessioni in essere per il tempo strettamente necessario alla conclusione della procedura (…)”.
Le amministrazioni concedenti, infatti, non potevano che attendere il risultato dell’attività di mappatura delle coste prima di avviare le procedure per l’affidamento delle nuove concessioni (procedure che, peraltro, dovrebbero essere disciplinate in maniera uniforme a livello nazionale e che ancora non sono state definite), risultando del tutto impraticabile l’individuazione di nuovi concessionari entro l’imminente data del 31/12/2023 ed essendo dunque incontestabile la presenza delle citate “difficoltà oggettive” nell’espletamento delle gare. Sul punto merita sottolineare come l’appena citato articolo preveda due distinti termini di scadenza delle concessioni. Un primo termine “ordinario” a cui si collega la possibilità di una proroga entro e non oltre un secondo termine “eccezionale”, eventualmente raggiungibile solo nelle suesposte circostanze. Orbene l’attuale testo normativo prevede, come già evidenziato, la scadenza delle concessioni al 31/12/2024, con possibilità di proroga in casi eccezionali sino al 31/12/2025. Tuttavia l’innesto normativo che ha prolungato di un anno ciascuno i predetti termini è stato già riconosciuto come inapplicabile dal Consiglio di Stato, dovendosi dunque intendere come termine “ordinario” quello del 31/12/2023 e come “eccezionale” quello del 31/12/2024.
Pertanto, continuando ad adottare un approccio prudenziale, una proroga sino al 31/12/2024 sembrerebbe legittima anche in ossequio all’originario testo della l. 118/2022.
In secondo luogo, il dato che emerge dall’attività di mappatura del Tavolo tecnico -il quale ha evidenziato come delle complessive aree demaniali marittime, solo circa il 33% sarebbe occupato da concessioni demaniali – potrebbe portare a una clamorosa declaratoria di inapplicabilità dell’intera direttiva Bolkestein all’interno del territorio italiano.
Tale circostanza, infatti, sembrerebbe portare in luce la non scarsità della risorsa naturale oggetto di concessione demaniale, con conseguente impossibilità di applicare, sotto il profilo oggettivo, l’intera direttiva europea per carenza dei presupposti di cui al citato art. 12 comma 1.
Tuttavia, anche per gli effetti dirompenti a cui i risultati di tale attività di mappatura potrebbero portare, non può che imporsi un approccio improntato alla più ampia cautela, evidenziando come in ogni caso tali risultanze debbano ancora essere sottoposte al vaglio delle competenti autorità.
Va segnalato, infatti, come innanzitutto sia stato criticato da più fronti lo stesso metodo di calcolo impiegato dal Tavolo tecnico nell’individuazione delle aree demaniali (che apparentemente avrebbe preso in considerazione, nell’attività di mappatura, la totalità della costa italiana, includendovi dunque anche aree non balneabili e/o difficilmente sfruttabili dal punto di vista economico) e in secondo luogo come le risultanze di tale attività dovranno necessariamente essere poste a un primo vaglio della Conferenza Unificata, per essere poi inviate alla Commissione Europea per la relativa valutazione.
Nell’ipotesi in cui tale analisi dovesse essere confermata e approvata in sede europea si potrebbe dunque arrivare ad affermare la carenza dei requisiti di applicabilità, sotto il profilo oggettivo, dell’intera disciplina della Direttiva Bolkestein in tema di concessioni balneari, lasciando dunque lo Stato italiano libero di regolamentare la materia nella maniera che dovesse ritenere più opportuna (con possibilità, dunque, di disporre per legge ulteriori proroghe senza che vi sia un contrasto con la normativa europea).
Come detto, tuttavia, vi sono ancora diversi passaggi (dall’esito incerto) da percorrere e non possiamo dunque che attendere i futuri sviluppi, anche dal punto di vista normativo, per ulteriori considerazioni.
Per dovere di completezza merita altresì segnalare come, sebbene per motivi puramente formali, sia stata cassata con rinvio una delle due citate sentenze gemelle pronunciate Consiglio di Stato in Adunanza Plenaria il 9/11/2021 e, nello specifico, la numero 18.
La Suprema Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, con la recentissima sentenza n. 32559 del 23/11/2023 ha infatti rilevato come l’aver negato l’intervento in giudizio di diversi enti (tra i quali il Sindacato Italiano Balneari e la Regione Abruzzo), si sia tradotto in “un diniego o rifiuto di giurisdizione per avere la sentenza impugnata negato agli enti ricorrenti la legittimazione ad intervenire nel giudizio, sulla base non di specifici e concreti impedimenti processuali (ad esempio, per ragioni relative alla fase processuale in cui gli interventi sono stati proposti, al grado di rappresentatività dei soggetti intervenuti rispetto agli interessi fatti valere, ecc.) ma di valutazioni che negano, in astratto, la titolarità in capo agli stessi enti di posizioni soggettive differenziate qualificabili come interessi legittimi”.
Evidentemente, trattandosi si un rinvio per motivazioni in rito, non è possibile -allo stato – trarre indizi circa un possibile mutamento nella giurisprudenza del Consiglio di Stato che, ad ogni modo, dovrà necessariamente prendere in considerazione il mutato quadro normativo. A parere di chi scrive -anche in considerazione dei temi trattati e dello svolgimento del giudizio – appare improbabile che la nuova pronuncia porterà a conclusioni che si discostino in maniera radicale da quanto già statuito, ma, nondimeno, gli sviluppi di tale processo dovranno essere seguiti da vicino per il loro potenziale impatto nella materia oggetto di analisi.
In conclusione, dunque, non possiamo che rilevare come ad oggi il quadro normativo e giurisprudenziale sia connotato da un notevole grado di incertezza, che ci auguriamo possa essere dipanato a seguito delle valutazioni e decisioni che dovranno essere adottate a stretto giro tanto in sede nazionale quanto europea, ribadendo che – allo stato – ferma la scadenza naturale delle attuali concessioni al 31/12/2023, sembrerebbe potersi ipotizzare una legittima proroga entro e non oltre il 31/12/2024.
Per approfondire:
Articolo scritto da Avvocato Massimiliano Campofranco – settore Diritto Amministrativo e Appalti
Studio Campofranco – Viale Italia 128 Ladispoli (RM)