Facciamo il punto sulla disciplina delle concessioni balneari alla luce della sentenza della Corte di giustizia europea, nella causa C-348/22, che ha definitivamente chiuso a qualsiasi proroga nazionale delle concessioni in essere.
Facendo seguito al precedente video in cui cercavamo di affrontare per punti chiave le questioni controverse in tema di concessioni balneari, andiamo a ripercorrere le problematiche della dibattuta questione circa la validità delle proroghe disposte per legge.
Anzitutto occorre brevemente chiarire il perché della prevalenza del diritto dell’Unione Europea su quello nazionale.
In questa sede ci si limita a evidenziare come tanto a livello europeo quanto a livello interno, tale prevalenza sia assolutamente pacifica.
Si riportano sul punto due fondamentali sentenze della Corte di giustizia europea e della Corte costituzionale italiana.
Secondo la prima (sent. del 15 luglio 1964, causa 6/64, Costa c. E.N.E.L.): “il diritto nato dal trattato non potrebbe, in ragione appunto della sua specifica natura, trovare un limite in qualsiasi provvedimento interno senza perdere il proprio carattere comunitario e senza che ne risultasse scosso il fondamento giuridico della stessa comunità. Il trasferimento, effettuato dagli stati a favore dell’ordinamento giuridico comunitario, dei diritti e degli obblighi corrispondenti alle disposizioni del trattato implica quindi una limitazione definitiva dei loro diritti sovrani, di fronte alla quale un atto unilaterale ulteriore, incompatibile col sistema della comunità, sarebbe del tutto privo di efficacia. l’art. 177 va quindi applicato, nonostante qualsiasi legge nazionale, tutte le volte che sorga una questione d’interpretazione del trattato”.
La seconda, prendendo a parametro l’art. 11 della Costituzione che prevede come “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”, ha così disposto ( sent. n. 170 del 5 giugno 1984, c.d. “Granital”): “Le confliggenti statuizioni della legge interna non possono costituire ostacolo al riconoscimento della “forza e valore”, che il Trattato conferisce al regolamento comunitario, nel configurarlo come atto produttivo di regole immediatamente applicabili. Rispetto alla sfera di questo atto, così riconosciuta, la legge statale rimane infatti, a ben guardare, pur sempre collocata in un ordinamento, che non vuole interferire nella produzione normativa del distinto ed autonomo ordinamento della Comunità, sebbene garantisca l’osservanza di essa nel territorio nazionale. D’altra parte, la garanzia che circonda l’applicazione di tale normativa è – grazie al precetto dell’art. 11 Cost., com’è sopra chiarito – piena e continua. Precisamente, le disposizioni della CEE, le quali soddisfano i requisiti dell’immediata applicabilità devono, al medesimo titolo, entrare e permanere in vigore nel territorio italiano, senza che la sfera della loro efficacia possa essere intaccata dalla legge ordinaria dello Stato. Non importa, al riguardo, se questa legge sia anteriore o successiva”.
In estrema sintesi, pertanto, le disposizioni del diritto europeo di immediata applicabilità (salvo la c.d. teoria dei controlimiti, che per ragioni di brevità espositiva non sarà trattata in questa sede) prevalgono sulle disposizioni di legge italiane.
Ci si deve chiedere pertanto quali siano le norme del diritto dell’Unione Europea che abbiano tali caratteristiche.
Con riguardo ai regolamenti europei il problema non si pone poiché questi per definizione è direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri (cfr. art. 288 TFUE, par. 2).
Diverso è il caso delle direttive. Queste infatti tendenzialmente impongono agli Stati membri il raggiungimento di un obiettivo, lasciandoli liberi, entro i limiti posti dalla direttiva stessa, di adoperare i mezzi che ritengono più opportuni per il raggiungimento dello scopo (cfr. art. 288 TFUE, par. 3).
Tuttavia la giurisprudenza europea ha individuato una particolare categoria di direttive, qualificandole come “self executing”.
Si riporta sul punto ex multis la celebre sentenza della Corte di Giustizia Europea del 22 giugno 1989, causa 103/88, c.d. “Fratelli Costanzo” che ha così disposto “In tutti i casi in cui talune disposizioni di una direttiva appaiano, dal punto di vista sostanziale, incondizionate e sufficientemente precise, i singoli possono farle valere dinanzi ai giudici nazionali nei confronti dello Stato, tanto se questo non abbia trasposto tempestivamente la direttiva nel diritto nazionale, quanto se l’ abbia trasposta in modo inadeguato. Qualora sussistano i presupposti occorrenti perché la direttiva possa essere fatta valere dai singoli dinanzi ai giudici nazionali, tutti gli organi della pubblica amministrazione, ivi compresi gli enti territoriali, come i comuni, sono tenuti ad applicare la direttiva stessa”.
In tali casi dunque, anche le direttive assumono una immediata applicabilità e devono ritenersi prevalenti rispetto al diritto interno e tutti i soggetti chiamati a dare applicazione a tale normativa, siano essi giudici o pubblica amministrazione, devono disapplicare la normativa interna contrastante con la direttiva, in favore di quest’ultima.
Ma cosa prevede esattamente la c.d. direttiva Bolkestein?
La direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 dicembre 2006 relativa ai servizi nel mercato interno “stabilisce le disposizioni generali che permettono di agevolare l’esercizio della libertà di stabilimento dei prestatori nonché la libera circolazione dei servizi, assicurando nel contempo un elevato livello di qualità dei servizi stessi” (cfr. art. 1).
In prima battuta, pertanto, sembrerebbe porre delle regole di carattere generale a tutela di tutti i prestatori di servizi (o potenziali tali) che intendano trasferirsi-stabilirsi da uno Stato membro all’altro. Tuttavia come meglio vedremo tra poco, la giurisprudenza ha escluso che per l’applicabilità della direttiva in esame debba sussistere un interesse transfrontaliero certo e che questa è efficace anche laddove tutti gli elementi rilevanti della fattispecie in esame insistano all’interno di un singolo Stato.
Per quello che interessa nella presente trattazione vengono in primo luogo (art. 11) stabilite delle condizioni da rispettare per subordinare lo svolgimento di una determinata attività a un’autorizzazione (che nel diritto interno assume la qualificazione giuridica di “concessione”) da parte della pubblica amministrazione.
In secondo luogo stabilisce secondo quali criteri deve essere effettuata la selezione tra i diversi candidati laddove sia necessaria un’autorizzazione.
Tenuto conto della rilevanza dell’art. 12, vale la pena riportarne il testo integrale:
“1. Qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili, gli Stati membri applicano una procedura di selezione tra i candidati potenziali, che presenti garanzie di imparzialità e di trasparenza e preveda, in particolare, un’adeguata pubblicità dell’avvio della procedura e del suo svolgimento e completamento.
2. Nei casi di cui al paragrafo 1 l’autorizzazione è rilasciata per una durata limitata adeguata e non può prevedere la procedura di rinnovo automatico né accordare altri vantaggi al prestatore uscente o a persone che con tale prestatore abbiano particolari legami.
3. Fatti salvi il paragrafo 1 e gli articoli 9 e 10, gli Stati membri possono tener conto, nello stabilire le regole della procedura di selezione, di considerazioni di salute pubblica, di obiettivi di politica sociale, della salute e della sicurezza dei lavoratori dipendenti ed autonomi, della protezione dell’ambiente, della salvaguardia del patrimonio culturale e di altri motivi imperativi d’interesse generale conformi al diritto comunitario”.
Calando tale previsione nella realtà delle concessioni balneari, si possono desumere i seguenti principi:
• Deve essere applicata una procedura di selezione pubblica imparziale e trasparente, laddove il numero di concessioni sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali.
• La durata della concessione deve essere di durata limitata e in nessun modo possono prevedersi rinnovi automatici né possono attribuirsi vantaggi al prestatore uscente o a persone a lui vicine.
Per determinare se la direttiva Bolkestein sia direttamente applicabile, anche senza una legge interna di recepimento, con il conseguente effetto di impedire qualsiasi tipo di rinnovo automatico delle concessioni balneari in essere, occorre dunque verificare in primo luogo se sia qualificabile come direttiva self-executing e in secondo luogo se le spiagge sulle quali insistono le attività turistico-ricreative debbano considerarsi quale risorsa naturale scarsa.
La giurisprudenza europea e nazionale più recente.
Per brevità espositiva si ripercorreranno sinteticamente le più recenti tappe legislative e le sentenze più rilevanti, analizzando da ultimo la recente sentenza della Corte di Giustizia Europea del 20 aprile 2023.
Come noto, la durata delle concessioni balneari per lo svolgimento di attività turistico- ricreative è stata nel tempo oggetto di diverse proroghe disposte direttamente ex lege.
Tra gli ultimi interventi normativi, l’articolo 1, commi 682 e 683 della legge 30 dicembre 2018, n. 145 disponeva una proroga sino al 31 dicembre 2033.
Tale proroga tuttavia è stata censurata dalle c.d. sentenze gemelle del 9.11.2021 nn. 17 e 18 del Consiglio di Stato in Adunanza Plenaria le quali, in estrema sintesi, hanno:
• riconosciuto come la direttiva Bolkestein debba ritenersi self-executing.
• chiarito come in primo luogo “il patrimonio costiero nazionale, il quale per conformazione, ubicazione geografica, condizioni climatiche e vocazione turistica è certamente oggetto di interesse transfrontaliero, esercitando una indiscutibile capacità attrattiva verso le imprese di altri Stati membri” e in secondo luogo come, in ogni caso, per pacifica giurisprudenza della Corte di Giustizia europea, la direttiva Bolkestein si debba applicare anche a una situazione i cui elementi rilevanti si collocano tutti all’interno di un solo Stato membro.
• Le aree demaniali marittime italiane devono considerarsi quale risorsa naturale scarsa.
Sulla base di tali principi hanno dunque evidenziato come qualsiasi tipo di proroga disposta all’interno dello Stato, tanto in via normativa, quanto in via amministrativa, deve considerarsi completamente priva di effetto, anche laddove recepita all’interno di contratti siglati tra ente concedente e concessionario.
Al fine di evitare un vuoto di tutela per gli attuali titolari delle concessioni balneari, il Consiglio di Stato ha in conclusione disposto come “le concessioni demaniali per finalità turistico-ricreative già in essere continuano ad essere efficaci sino al 31 dicembre 2023, fermo restando che, oltre tale data, anche in assenza di una disciplina legislativa, esse cesseranno di produrre effetti, nonostante qualsiasi eventuale ulteriore proroga legislativa che dovesse nel frattempo intervenire, la quale andrebbe considerata senza effetto perché in contrasto con le norme dell’ordinamento dell’U.E.”.
Quale cornice di una disciplina generale per l’affidamento delle attività in esame, è stata promulgata la legge 5 agosto 2022, n. 118 “Legge annuale per il mercato e la concorrenza 2021” che legificava, all’art. 3, comma 1, quale termine ultimo per l’efficacia delle attuali concessioni balneari in essere, quello stabilito dal Consiglio di Stato, come appena visto, del 31.12.2023.
Contestualmente, il comma 3 del medesimo articolo, prevedeva la possibilità per le singole autorità competenti di adottare un atto di un differimento del termine di scadenza delle concessioni balneari in essere, esclusivamente in presenza di ragioni oggettive tali da impedire la conclusione della procedura selettiva, in ogni caso non oltre la data del 31.12.2024.
Contestualmente tale legge prevedeva all’art. 4 una delega al Governo per adottare decreti legislativi di riordino della materia, i quali avrebbero dovuto, tra l’altro, disciplinare in maniera omogenea e unitaria le procedura di affidamento delle concessioni balneari nonché i criteri valutativi delle offerte presentate dai concorrenti.
Tuttavia da un lato si registra come il termine di sei mesi per l’adozione da parte del Governo di decreti legislativi sia a oggi scaduta e dall’altro come, nonostante il chiaro tenore delle citate sentenze del massimo organo di giustizia amministrativa, si sia tentato di prorogare nuovamente per legge la durata delle concessioni balneari in essere.
L’art. 10-quater , comma 3, del Decreto Legge 29 dicembre 2022, n. 198, convertito in Legge 24 febbraio 2023, n. 14 dispone infatti che “Ai fini dell’espletamento dei compiti del tavolo tecnico di cui al comma 1, ai commi 3 e 4 dell’articolo 3 della legge 5 agosto 2022, n. 118, le parole: “31 dicembre 2024”, ovunque ricorrono, sono sostituite dalle seguenti: “31 dicembre 2025”. Le concessioni e i rapporti di cui all’articolo 3, comma 1, lettere a) e b), della legge 5 agosto 2022, n. 118, continuano in ogni caso ad avere efficacia sino alla data di rilascio dei nuovi provvedimenti concessori)”.
Come ampiamente prevedibile, tuttavia, la giurisprudenza ha già avuto modo di sottolineare come tale proroga debba considerarsi completamente priva di effetto.
Con sentenza del 1.3.2023 n. 2192 il Consiglio di Stato, sez. VI, dopo aver ribadito l’illegittimità di una proroga disposta da un Comune sino al 31.12.2033, in applicazione della (inapplicabile, per contrasto con la direttiva Bolkestein) legge 30 dicembre 2018, n. 145, articolo 1, commi 682 e 683, ha infatti così statuito “In conclusione giova soltanto soggiungere che, sulla base di quanto affermato dall’Adunanza Plenaria, con le ricordate sentenze nn. 17 e 18 del 2021, non solo i commi 682 e 683 dell’art. 1 della L. n. 145/2018, ma anche la nuova norma contenuta nell’art. 10-quater, comma 3, del D.L. 29/12/2022, n. 198, conv. in L.24/2/2023, n. 14, che prevede la proroga automatica delle concessioni demaniali marittime in essere, si pone in frontale contrasto con la sopra richiamata disciplina di cui all’art. 12 della direttiva n. 2006/123/CE, e va, conseguentemente, disapplicata da qualunque organo dello Stato”.
Da ultimo va segnalata la sentenza della Corte di Giustizia Europea del 20 aprile 2023 (causa C-348/22), che ha chiuso a qualsiasi possibilità di rinnovi automatici.
Tale pronuncia trae origine da un rinvio pregiudiziale disposto dal Tar Puglia – sezione di Lecce, il quale, trovatosi a dover decidere sulla legittimità di alcuni atti prodromici alla proroga delle concessioni balneari in essere adottati dal Comune di Ginosa, sulla base dell’articolo 1, commi 682 e 683, della legge n. 145/2018, ha posto alla Corte, in estrema sintesi, i seguenti quesiti:
• se la Bolkestein debba ritenersi direttiva self executing;
• se la presenza di un interesse transfrontaliero certo debba ritenersi quale presupposto indispensabile ai fini dell’applicazione della direttiva;
• se risulti coerente rispetto ai fini perseguiti dalla direttiva una valutazione sulla sussistenza della scarsità delle risorse naturali effettuata da un giudice nazionale in via generale e astratta (come fatto dal Consiglio di Stato con le citate sentenze nn. 17 e 18 del 2021) o se tale decisione spetti ai singoli Comuni.
In relazione al primo punto, la Corte, richiamando i numerosi precedenti, ha ribadito come la direttiva in esame debba considerarsi self-executing e pertanto fonte di diritto, prevalente su quello italiano, anche in assenza di una espressa legge di recepimento della stessa.
Sulla seconda questione ha così statuito “la Corte ha già avuto modo di dichiarare più volte, in base a un’interpretazione letterale, storica, contestuale e teleologica della direttiva 2006/123, che le disposizioni del capo III di quest’ultima, relativo alla libertà di stabilimento dei prestatori, le quali includono l’articolo 12 di tale direttiva, devono essere interpretate nel senso che esse si applicano, in particolare, a una situazione i cui elementi rilevanti si collocano tutti all’interno di un solo Stato membro. (v., in tal senso, sentenze del 30 gennaio 2018, X e Visser, C-360/15 e C-31/16, EU:C:2018:44, punti da 99a 110, nonché del 22 settembre 2020, Cali Apartments, C-724/18 e C-727/18, EU:C:2020:743, punto 56).
Ne consegue che l’articolo 12, paragrafi 1 e 2, di detta direttiva deve essere interpretato nel senso che esso non si applica unicamente alle concessioni di occupazione del demanio marittimo che presentano un interesse transfrontaliero certo”.
Sul terzo punto la Corte evidenzia come l’art. 12, par. 1 della direttiva Bolkestein lasci un certo margine di discrezionalità in capo agli Stati membri circa la valutazione della sussistenza, o no, della scarsità delle risorse naturali.
Sulla base di tale considerazione viene dunque evidenziato come il citato articolo non è da ostacolo a un approccio combinato di tale valutazione. In altre parole, cioè, la scarsità delle risorse naturali può essere considerata sia in via generale e astratta a livello nazionale, sia secondo un approccio caso per caso basato su un’analisi del territorio costiero del Comune in questione.
Ne deriva che, nel ribadire l’illegittimità di rinnovi automatici delle proroghe in essere disposte tanto per legge quanto in via amministrativa, la Corte sembrerebbe lasciare aperto uno spiraglio in ordine alla non applicabilità della direttiva Bolkestein nei soli casi in cui – dato per assodato che a livello nazionale è stata già riconosciuta la scarsità delle spiagge quali risorse naturali sulla base di un criterio generale e astratto – i singoli Comuni riescano a dimostrare che nell’ambito della propria estensione territoriale tale risorsa sia presente in maniera talmente vasta da non potersi considerare scarsa.
In conclusione, dunque, nell’auspicare un celere intervento di tutto i pubblici poteri coinvolti, al fine di un complessivo riordino della materia e relativa definizione delle disciplina in via omogenea delle procedure di gara da espletare in tempi certi, si sottolinea come, allo stato, le date da prendere in considerazione per il termine di efficacia delle concessioni balneari (in forza dell’illegittimità di qualsivoglia proroga disposta per legge, come da ultimo quella prevista dall’art. 10-quater , comma 3, del Decreto Legge 29 dicembre 2022, n. 198, convertito in Legge 24 febbraio 2023, n. 14), rimangono quella ordinaria del 31.12.2023 e quella del 31.12.2024, quest’ultima applicabile nei soli casi in cui sussistano ragioni oggettive tali da impedire la conclusione delle procedure selettive entro il primo termine ordinario.
Articolo scritto da Avvocato Massimiliano Campofranco – settore Diritto Amministrativo e Appalti
Studio Campofranco – Viale Italia 128 Ladispoli (RM)